Ci sono due modi per cambiare la nostra vita: uno è cambiare il nostro modo di vivere, la realtà che ci circonda; l'altro è intervenire su quel magico, microscopico, interruttore bioelettrico nascosto nei meandri della nostra mente, che cambia la realtà in un clic.


giovedì 13 settembre 2012

ESSENZIALE - SUPERFLUO


Ho scritto un commento sul post di Emanuela, che vi invito a visionare qui:

http://bosco-dei-sogni.blogspot.it/2012/09/tre-giorni-al-rifugio-tuckett.html#comment-form

ma è troppo lungo, non ci entra nei commenti, lo propongo di seguito.


"ciao,

vorrei scrivere qualcosa di abbastanza controcorrente rispetto ai tuoi post, ma ormai è da un po' che lo sperimento. Riguarda il concetto di essenziale. Vorrei partire da lontano, dal pensiero "dualistico" ma mi rendo conto che siamo in un'epoca in cui c'è poco tempo e tutto dev'essere presentato già pronto, definito, chiaro e abbastanza superficiale perché ciò che è davvero profondo, alla radice delle cose richiede molto, molto tempo per essere vissuto, sperimentato, assimilato.

Dirò solo questo. C'è una fase del pensiero, istantaneo, subitaneo, in cui se hai la consapevolezza di avvertirlo, la differenza tra essenziale e superfluo scompare completamente. Oddio, scompare praticamente ogni classificazione e la mente rimane istantaneamente limpida e pura, è un attimo, non saprei dire come si raggiunge questo stadio, se per caso, per natura, non so... forse è come la scoperta del fuoco: uno scopre il fuoco, riprova ad accenderlo e zac, finito ha scoperto il fuoco, cuoce i cibi e si riscalda. Quello che posso dire è che questa fase non si raggiunge con lo sforzo, lo studio o l'impegno, un semplice colpo di fortuna conta molto di più.

Cmq, quando la mente è davvero quietata, lo è anche il corpo, l'anima. Bene, in questa fase non c'è "l'essenziale"; non c'è l'essenziale perché non c'è neanche il superfluo. L'essenziale viene definito dalla mente solo quando hai classificato "essenziale" in contrapposizione a "superfluo". Hai fatto la partizione e scegli uno dei due oggetti. Bene, hai creato una contrapposizione, un conflitto che prima non c'era essenziale-superfluo. Ti sei posto un problema, adesso cerchi una risposta, una soluzione.

La quiete della mente, la riconciliazione con il proprio vissuto non si ha quando raggiungi l'essenziale, contrapposto al superfluo, ma quando la mente "di ogni istante" non opera più la partizione, la differenza. Scompaiono entrambi, assorbiti dalla realtà che è molto più complessa di "essenziale-superfluo" ma che è in grado di farli convivere armoniosamente, serenamente, nella realtà esistono entrambi, il problema è la nostra mente che accetta solo uno dei due termini escludendo l'altro, l'altro gli da fastidio.

Stessa cosa per moltissimi concetti, politici, religiosi, economici, culturali, familiari, etc, la contrapposizione "essenziale-superfluo" è solo un esempio di come fare a creare un problema, che non c'è, e cercare una soluzione che non c'è. Si direbbe che nella pratica invece il problema oggettivamente ci sia, ma è facile dimostrare che nasce con il disagio della persona, con la decisione di operare la "partizione". Dimostrarlo è semplice anche senza ricorrere a pensieri complessi: tutti noi conosciamo persone che "non si pongono problemi" e magari ci aspettiamo che per punizione saranno "raggiunte" dai problemi. Nella realtà dei fatti, quelle persone che "non si pongono problemi" non hanno mai "più" problemi degli altri, sono e vivono come gli altri, solo che appunto "non si pongono problemi". 

Superando il dualismo "essenziale-superfluo" che ha generato il problema, il dilemma, la questione, la mente torna quieta. Se non viene superato, se si continua a ragionare in termini di "essenziale-superfluo" sarà peggio della tela di Penelope, anche lasciando una stanza vuota una mente abituata al ragionamento dualistico, contrapposto, avvertirà che qualcosa non va, e sarà terribilmente infastidita, distratta, turbata, infelice se non "sistema" quello stato di cose. Eppure la stanza è praticamente vuota, cosa si può fare di più? Non c'è bisogno di arrivare alla "stanza vuota" per sapere che anche "quando sarà vuota" la nostra situazione, il grado di soddisfazione non varierà. 

E viceversa è vero il contrario, com'è facilmente dimostrabile, dato che innumerevoli persone sono in grado di vivere nel disordine esterno apparente senza esserne più di tanto turbati, producendo come gli altri, non avendo handicapp di sorta rispetto ad altri molto più ordinati. E io credo che sia tutto lì: "non si pongono il problema". Non creano una partizione "ordine-disordine". Non creandola non si sentono turbati, non vivono una situazione come "anomala", da riparare, da sistemare. Vivono e basta. Alcuni li chiameranno "ignavi" altri "saggi", ma uno dei vantaggi di non operare partizioni è che non ci sono "ignavi" nè "saggi" ci sono... ignavi e saggi, nella stessa persona e se si comprende questo allora è possibile in un lampo risolvere i propri conflitti interni e scoprire di aver risolto una moltitudine di nodi che assilavano praticamente senza accorgersene"

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martedì 11 settembre 2012

DECLUTT... BERK!!!!!


Ho lasciato un commento ad un post sul tema del decluttering qui:

http://viaggioleggero.com/2012/09/11/decluttering-in-ufficio-un-infografico/#more-608

lo ripropongo, invitandovi a seguire la discussione seguita anche nel sito indicato.


"Io intaso la mia scrivania di roba assolutamente inutile e superflua perché se non lo faccio sembra che io sia leggero di carico e mi arriva altra roba. 

Sembrerebbe intelligente ripulire la scrivania, ma in un mondo competitivo come il nostro, che è anche abbastanza stupido, se vuoi scaricare il lavoro sul collega e farlo schiattare, ed evitare il contrario, carica la scrivania di roba. E' una mossa strategica di successo, chi sembra indaffarato viene visto bene, chi sembra troppo rilassato viene additato come poltrone. Carica la scrivania di roba inutile e poi riditela sotto i baffi. In alternativa svuota la scrivania e aspettati di fare la fine del mulo. 


Come dice sempre mio padre: 

"L'asino che lavora è sempre carico".


Un manager non carica la schiena di uno che soccomberà sotto il peso trascinando giù il suo bagaglio e la sua carriera, caricherà la schiena dell'asino che ce la fa. Meglio non dare l'impressione di farcela. 

Questo in un ambiente medio e normale, quale credo sia il mio. Se hai la fortuna di vivere in un ambiente davvero meritocratico, deburocratizzato, con capi intelligenti ed intuitivi e niente nepotismo né simpatie particolari, allora porta pure il declutering e il rilassamento al massimo anche mentre lavori. 

Solo un'aggiunta: mi spiace davvero che venga data tanta importanza al decluttering materiale, prima il decluttering dovrebbe riguardare i pensieri, le idee, le opinioni, il cervello insomma. Un cervello pulito ed efficiente gestisce milioni di oggetti tutti insieme. Un cervello stanco non riesce neppure a darsi la forza di lavare la tazzina del caffé al mattino. 

Occorre puntare su sé stessi, non sull'ambiente. Su sé stessi in forma prima che sull'ambiente ordinato. Sù sé stessi concentrati, prima che sulla casa pulita. E se qualcuno pensa che per avere una mente pulita ed efficiente occorra prima ripulirsi intorno credo stia sbagliando, occorre prima rilassare la mente, solo dopo la pulizia, l'ordine, il meno, saranno un riflesso di ciò che si ha dentro. 

O almeno, per me, funziona così. Se hai la mente pulita un po' di disordine non è niente. Se non ce l'hai lo sforzo di ordinare prosciuga tutte le tue energie e la vita rimane vuota."

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venerdì 7 settembre 2012

SULLA "PIRATERIA"



Ho lasciato un commento sul tema della "pirateria" delle opere digitali e cartacee qui:

http://www.kindleitalia.com/ebook-e-pirateria-quale-sara-lo-scenario-futuro-3320/

Lo ripropongo:


"Mio nonno andò a bottega per imparare il pregiato (ma malpagato, si era in tempi di guerra) mestiere di calzolaio. I calzolai costruivano la scarpa, oggi si ripara soltanto. Poi arrivò l'industria e mio nonno dovette andare in miniera, poi nelle fabbriche, poi all'estero, poi... Il progresso gli aveva tolto il lavoro, fece altro, soffrì, per tutta la vita riparò scarpe a titolo gratuito. Mai nessuno emanò una legge a sua protezione della categoria, le scarpe si potevano comprare già pronte ed inscatolate. Molti industriali divennero ricchi, lui dovette ricominciare da zero.

Oggi è uguale. Sempre è uguale. Forse la differenza, con la diffusione della "pirateria" è che gli industriali non diventano ricchi e i "consumatori" ricevono il prodotto gratis, ma la distruzione del posto di lavoro, quello che ti da da vivere, a causa del progresso è sempre avvenuta.

Adesso ci scandalizziamo perché gli industriali ricchi hanno la capacità di influenzare tramite i media, di "far indignare", ma è una visione apparente della realtà: la drammatica perdita di quel tipo di lavoro è inevitabile, mio nonno era un genio della scarpa ma non poteva vivere solo riparandole; quello che cambia è che adesso vengono colpiti pure gli interessi dei "ricchi".

E se qualcuno mi cita i dati sul numero di posti di lavoro persi, io gli tiro fuori i dati sulla "produttività", ovvero come sostituire umani con elaboratori elettronici anche quando le cose vanno ottimamente e i profitti gonfiano le tasche. Si vedrà che il crollo del potere di acquisto e degli occupati dell'industria non dipendono dalla pirateria ma dalla ripartizione del fatturato, sempre più a vantaggio del profitto e a detrimento dei salari. Povero, schifoso, una volta dignitoso lavoro con contratti decenti.

La "pirateria" è un falso problema per i lavoratori, ma un "vero" problema per gli industriali. 

L'avidità è un falso problema per i "ricchi" (lo sono e se ne fregano) ma è un "vero" problema per i lavoratori.

Lasciamo che i ricchi si preoccupino della pirateria e i lavoratori si preoccupino, come hanno sempre dovuto fare, di adeguarsi ad un mondo che cambia."

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giovedì 6 settembre 2012

FIGHT THE POWER


Stamani ho finalmente ascoltato fino in fondo qesta meravigliosa canzone di Dario Fo, nel finale è descritta l'unica arma oggi efficace contro il potere:

HO VISTO UN RE

Dai dai, conta su…ah be, sì be….
- Ho visto un re.
- Sa l’ha vist cus’e'?
- Ha visto un re!
- Ah, beh; si’, beh.
- Un re che piangeva seduto sulla sella
piangeva tante lacrime, ma tante che
bagnava anche il cavallo!
- Povero re!
- E povero anche il cavallo!
- Ah, beh; si’, beh.
- è l’imperatore che gli ha portato via
un bel castello…
- Ohi che baloss!
- …di trentadue che lui ne ha.
- Povero re!
- E povero anche il cavallo!
- Ah, beh; sì, beh.

- Ho visto un vesc…
- Sa l’ha vist cus’e'?
- Ha visto un vescovo!
- Ah, beh; si’, beh.
- Anche lui, lui, piangeva, faceva
un gran baccano, mordeva anche una mano.
- La mano di chi?
- La mano del sacrestano!
- Povero vescovo!
- E povero anche il sacrista!
- Ah, beh; si’, beh.
- e’ il cardinale che gli ha portato via
un’abbazia…
- Oh poer crist!
- …di trentadue che lui ce ne ha.
- Povero vescovo!
- E povero anche il sacrista!
- Ah, beh; si’, beh.

- Ho visto un ric…
- Sa l’ha vist cus’e'?
- Ha visto un ricco! Un sciur!
- S’…Ah, beh; si’, beh.
- Il tapino lacrimava su un calice di vino
ed ogni go, ed ogni goccia andava…
- Deren’t al vin?
- Si’, che tutto l’annacquava!
- Pover tapin!
- E povero anche il vin!
- Ah, beh; si’, beh.
- Il vescovo, il re, l’imperatore
l’han mezzo rovinato
gli han portato via
tre case e un caseggiato
di trentadue che lui ce ne ha.
- Pover tapin!
- E povero anche il vin!
- Ah, beh; si’, beh.

- Ho vist un villan.
- Sa l’ha vist cus’e'?
- Un contadino!
- Ah, beh; si’, beh.
- Il vescovo, il re, il ricco, l’imperatore,
persino il cardinale, l’han mezzo rovinato
gli han portato via:
la casa
il cascinale
la mucca
il violino
la scatola di kaki
la radio a transistor
i dischi di Little Tony
la moglie!
- E po’, cus’e'?
- Un figlio militare
gli hanno ammazzato anche il maiale…
- Pover purscel!
- Nel senso del maiale…
- Ah, beh; si’, beh.
- Ma lui no, lui non piangeva, anzi: ridacchiava!
Ah! Ah! Ah!
- Ma sa l’e', matt?
- No!
- Il fatto e’ che noi villan…
Noi villan…
E sempre allegri bisogna stare
che il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam,
e sempre allegri bisogna stare
che il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam!

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NE TROPPO NE TROPPO POCO



Il Primo lasciò il suo lavoro perché non era disposto a sopportare la gerarchia e la prigione di un posto fisso conveniente ma abbastanza alienante, come tutti i lavori ordinari e dipendenti. Laureato tecnico, comandato da gente forse meno in gamba di lui, ha detto basta e si è preso un periodo. Ha fatto di tutto, molti hobby, molti sport, molte passioni. Forse troppe, tutte insieme, in modo bulimico, con tanta energia, continuando a formarsi nel suo campo specifico. 

Adesso fa quello che faceva prima, da consulente. Guadagna di meno, ha più responsabilità, si sente (forse) più libero, credo sia più frustrato perché i suoi progetti non vengono approvati, ma le idee si scontrano sempre con la realtà industriale, o con la realtà tout-court. Dice che non tornerebbe indietro, ma che non è andato neppure avanti. Stupidi erano i suoi capi, adesso i suoi committenti, solo che prima loro cercavano lui, adesso è lui che deve cercare stupidi committenti. C'è pure crisi. Ha fatto tanto, niente di definitivo, niente di grande, tutto abbastanza piacevole, cose da sempre volute, che adesso non interessano poi tanto, spera che il suo lavoro da consulente possa sfondare e generare qualcosa di nuovo nel campo industriale. E' single e senza figli.


Il Secondo non era troppo contento né troppo scontento, insoddisfatto dentro sicuramente, giovane e laureato guadagnava davvero molto per la sua posizione, casa di proprietà regalata dai genitori, fidanzato senza troppa passione. Molti hobby da provare, sopito desiderio di uscire dalla gabbia, ha colto un'offerta favolosa di messa in mobilità e investito i soldi, cosa che gli permetterà insieme alla proprietà della casa di non lavorare, nel senso comune del termine, ancora per molto. 

Viaggia, non è più fidanzato, un po' fuori dal circuito delle classiche amicizie a motivo della sua scelta che non si abbina con le esigenze degli altri lavoratori costretti a correre. Va lento, coltiva qualche hobby, qualche curiosità, un po' di sport, non a livello agonistico, per puro diletto, calmo e piacevole. Non troppo né troppo poco. Non tornerebbe indietro ma non ha l'ambizione dei grandi progetti, non adesso almeno. Vive, il denaro oggi non manca, viaggia ma non spreca. Non è sposato, non ha figli.


Il Terzo aveva le idee più chiare: ha lasciato il posto fisso perché non ne poteva più e aperto un locale in un bel posto. Soldi davvero pochi, orari strani, tempo libero e molta natura. Single e senza figli. La crisi ha colpito la zona e la gente spendeva di meno, ha chiuso il locale ma è un lottatore e sta cercando di inventarsi qualcosa.


Infine, a mio avviso, l'esperienza più interessante perché più condivisa, il blog di Alberto (www.scalalamarcia.com) che è assente da quattro mesi, da cinque non scrive più della sua coraggiosa e rischiosa esperienza di lasciare il lavoro, il posto fisso, per trovare un modo diverso di vivere: Alberto è sposato e ha deciso di fare il passo alla nascita del suo bimbo. Nei diversi post ha descritto i dubbi, le paure, le speranze, le decisioni e indecisioni, leggendolo si trova un'esperienza ancorché ancora parziale molto vera e onesta. Dico parziale perché a un certo punto ha smesso di raccontarsi, credo che lo shock del cambiamento abbia bisogno di tempo per essere vissuto, superato, raccontato, valutato nei suoi successi e insuccessi.


Ho voluto scrivere quattro storie di persone reali, conosciute in rete, omettendo i nomi dei primi tre, perché credo che rappresentino bene lo spaccato di un tentativo di abbandono del posto fisso, di "minimalismo" o "decrescita", vissuto come tale, ovvero la voglia di lasciare il lavoro quando non c'è costrizione o impellenza a farlo, come scelta per un tentativo di vita diversa. Non credo siano storie esaltanti o deprimenti, credo siano storie vere, e le storie vere, quelle quotidiane, che non finiscono sui media o non servono a venderti qualcosa, sono sempre né troppo né troppo poco.  

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venerdì 31 agosto 2012

22 SEGNI


E' davvero tutto molto complicato. A volte perdo tanto tempo per trovare una semplice informazione sui trasporti pubblici, per trovare un interlocutore per gas, luce, altri servizi e il personale non sa dirmi, è confuso, il mondo è confuso, è troppo ampio, troppo informato, troppo complicato e non ha modo di uscire dalla sua complessità. Ma è sempre stato complesso, solo che in passato non provava a dipanare questa complessità né a regolarla, si limitava ad accettare il mistero e l'inconoscibile, a limitare le sue pretese, ad accettare i bisogni insoddisfatti. 


Oggi l'uomo prova a raggiungere le stelle, a progredire, a toccare il cielo, ma non riesce a governare la complessità, la sua mente non è stata creata per questo, solo Dio gestisce la complessità. 


In passato mi sono chiesto come uscire da questa impasse, quando ho smesso di chiedermelo la risposta è arrivata, quando ho provato a spiegarlo ho scoperto che la parola non basta, non saranno 21 o 26 lettere dell'alfabeto messe una dietro l'altra, in ordine preciso, a poter spiegare il mondo o a trovare soluzioni, anche se l'uomo ripone nella parola una fiducia desolante, disperata, idolatra. 

L'uomo si fida di 26 moderne lettere dell'alfabeto, messe in ordine, per spiegare il mondo. Crede che il mondo sia spiegabile così. Che si possa raccontare, narrare. 26 lettere. E' tutto lì. Crede che la conoscenza gli verrà in questo modo. che follia. 

Un giorno gli uomini inventano la scrittura. La inventano. Due civiltà, distinte, in contemporanea, in Egitto e Mesopotamia. Iniziano a raffigurare. E il mondo passa dalla preistoria alla storia, caratterizzata dalla nascita della scrittura. E' difficile diventare scriba, i segni da conoscere sono molti, credo più di 500, ma forse molti di più, alcuni di questi segni non hanno pronuncia, e non sono composti da una sola lettera ma da intere raffigurazioni, è fantastica la scrittura ma anche molto complicata. 

Tutto complicato. Come adesso, più di adesso. E' difficile comprendersi. Allora i fenici, che sono abili mercanti e badano al sodo, letteralmente inventano un sistema di codifica che permetta di ridurre tutte quelle parole a 22 segni fondamentali, tutti con una pronuncia, così le parole non pronunciate svaniscono. In più inseriscono un ordine, preciso, stabile, oggi lo chiameremmo A-B-C-D... 

Passano secoli, vicissitudini storiche, i fenici col loro alfabeto che continua ad essere utilizzato e nonostante la schiacciante superiorità della cultura egiziana non vuole saperne di morire. L'alfabeto rimane. 22 segni che rappresentano il mondo, con cui si cerca di raccontare, dire, spiegare, narrare, tutto quello che possa essere visto, ascoltato, pensato, ricordato, inventato. Molto più semplice delle centinaia di segni complessi degli altri popoli. E un giorno i greci si impossessano dell'alfabeto, dell'idea dell'alfabeto, e lo adottano. E poi, tramite loro, lo fanno i romani. E poi l'intero mondo cristiano utilizza quell'alfabeto. 

E le preghiere cristiane vengono recitate usando quei segni inventati da popolazioni blasfeme e pagane. Perché i fenici sono abili commercianti. E sono furbi. Migliaia di anni fa hanno avuto un'accortezza incredibile: consci che le popolazioni con cui venivano a contatto professano culti religiosi diversi hanno eliminato dai loro 22 segni ogni riferimento, immagine, simbolo di natura religiosa. Il loro alfabeto è "laico". Utilizzarlo non vuol dire far riferimento a culti di altri popoli con richiami a divinità straniere. Dal mondo cristiano i 22 segni si propagano per il mondo. 


I 22 segni non sono solo lettere che semplificano la scrittura, sono una struttura mentale, una progressione, un'ordine dato alla parola e al mondo, che oggi è A-B-C-D.... 


A in origine è Aleph, e deriva dall'immagine del toro egiziano, grande come un piccolo camion di oggi, una mandria di tori lanciata al galoppo rappresenta il caos nel mondo egiziano, un simbolismo carico di significati ridotto ad una sintesi estrema. I 22 segni perdono completamente il loro valore fonico per far assumere al segno solo il valore iniziale. Tutta la ricchezza dello scritto andò perduta per favorire la semplicità, la comunicazione, il business.


E' questo oggi quello che chiamiamo pensiero, discorso, ragionamento logico, una sintesi estrema, espressa attraverso i 22 segni nati per il business.


E quindi assolutamente concisa, efficace, semplice da imparare, e assolutamente povera e limitata. La parola non rappresenta la realtà, i 22 segni per quanto ben combinati non possono farlo. Sono solo una pallida illustrazione della realtà, con lo scopo non di definire ed approfondire, ma di comprendersi facilmente. 

Ecco perché la parola, il ragionamento logico, verbale, è solo una gabbia da cui si può comunicare facilmente col prigioniero a fianco, è lo strumento per rendere prigionieri, per limitare la mente che invece è ben più di quei 22 segni, ben più del ragionamento verbale, la parte zoppa del cervello, la più limitata, e al tempo stesso la più comunicativa, quindi la più apprezzata in un animale sociale che si struttura gerarchicamente.

Lo stesso ordine progressivo che ha costruito il pensiero dell'occidente deriva dall'alfabeto, A-B-C-D-E, l'ordine con inizio, svolgimento e fine, con una pronuncia e una sola per tipo di segno, incapace quindi di comprendere e concepire una realtà che non è affatto progressiva, che per le leggi della fisica quantistica può benissimo essere contemporanea, nella realtà le “lettere dell'alfabeto” possono materializzarsi tutte insieme, senza progressione continua o inversa, ma contemporanea, non prima questo e poi quello per creare un discorso compiuto ma “questo, quello, quello, e quell'altro” tutte insieme e senza escludersi, come avviene nella realtà in cui tutto coesiste e in cui l'uomo non riesce a inserire il suo pensiero perché esso è strutturato A-B-C-D e se non è bianco è nero, se non è religioso è ateo, se dice questo allora dice anche quello, se non è comunista è capitalista, e se le “lettere” non sono messe nel corretto ordine o se addirittura non vi sono lettere, il cervello entra in crisi, smarrito.


Non è nella parola, nella scrittura, nel ragionamento logico e verbale che può esservi spiegazione di alcunché, per la stessa limitatezza del mezzo. 


22 segni. Che sembrano oceani infiniti grazie alla loro fantastica capacità ricombinante, ma solo chi ha superato il mondo delle parole vede schiudersi un orizzonte immenso, molto più grande dei 22 segni in cui si è imprigionati, del discorso logico in cui ci si è incatenati, perché oggi non si fa che ripercorrere da A a Z avanti e indietro senza in realtà andare da nessuna parte perché non è nelle parole o nella loro logica la soluzione, la ricerca, la spiegazione, esse sono solo l'equivalente del linguaggio sintetico del moderno cellulare confuso con la realtà esistente. 

Che rimane nascosta.

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venerdì 24 agosto 2012

ANDARE A LEGNA



Seguito all'articolo su “VIAGGIOLEGGERO” che Vi invito a visionare prima di proseguire,



http://viaggioleggero.com/2012/08/23/becoming-minimalist-newsletter-nr-3/



Ho inviato questo commento, lo ripropongo qui:




Ciao,

ti parlo un attimo del riscaldamento a legna:

Mio padre e mio zio in Sicilia avevano la stufa a legno, mio padre ha dovuto toglierla per il disagio dei fumi di scarico, mio zio vive sul mare e ha potuto tenerla. Legna a costo zero laggiù, mio zio ricicla il materiale dei casotti abbandonati.

In Sicilia il risparmio dell’avere una stufa a legno sarà di circa 300 € l’anno rispetto ad un riscaldamento con le bombole di gas. Naturalmente la stufa a legno richiede manutenzione e offre meno flessibilità di un impianto a gas di città. E di notte servono le coperte.

Una stufa a legna o pellet che riscaldi una casa al nord Italia può tranquillamente garantire un risparmio di un migliaio di euro l’anno, che non è poco, anzi. Certo, non è che arrivi a casa e la trovi calda, arrivi e la trovi fredda, ci vuole circa mezz’ora per raggiungere una temperatura confortevole. Se hai figli piccoli rischi di portarli spessissimo dal medico se vanno in giro scoperti.

Questo per dire che, nella mia esperienza, la stufa a legna, con cui sono cresciuto, è una notevole fonte di risparmio, nonché un approccio educativo valido, ma è davvero difficile inserirla in un contesto “minimalista” in cui si voglia una vita più semplice, per vari motivi:

- Perché ti sottrae del tempo, occorre procurarsi il legno, svuotare la cenere, pulire la cenere, costruire la canna fumaria, garantire la manutenzione della canna fumaria; se lo fai da solo impieghi del tempo, se non lo fai da solo sono costi;

- Perché comunque è un costo: o riesci a procurarti la legna gratis, oppure devi contabilizzare la spesa e sottrarla a quanto risparmieresti rispetto ad un sistema tradizionale;

- Perché se ami una casa sempre pulita forse non è la soluzione migliore. Forse è meglio una stufa a pellet, ma il pellet non è gratis e il costo iniziale della stufa potrebbe essere elevato. Però offre molti vantaggi in termini di comodità. Lo svantaggio è che se il pellet si diffonde, per la legge della domanda e dell’offerta (come è avvenuto in passato per il GPL e il metano) sorgeranno una serie di balzelli che decurtano il risparmio;

- Considerare inoltre che se hai bambini o animali in casa la stufa a legna è pericolosa, non ci vuole niente a posare una manina o una zampetta sulla piastra o sul vetro rovente, ustionandosi. I miei genitori stavano continuamente attenti, non credo che ciò abbia giovato al loro vivere rilassato. E se di notte il bimbo o l’animale domestico si fossero alzati per andare a vedere "cosa bolle in pentola?”

- Ricordo di aver buttato un bel po’ di cose nel fuoco, per gioco, magari c’era anche qualcosa di importante, ma ero bambino, anche questo è un rischio da tenere in considerazione. Come il bracciale o l’orologio che scivolano verso il fuoco mentre aggiungi un tronco, puoi dirgli addio;

- Da considerare che se hai una canna fumaria interna, dopo un po’ di anni per la manutenzione straordinaria devi chiamare i muratori e non lo spazzacamini.


Ecco, solo per dire che la stufa a gas è un risparmio, ma non semplifica la vita. 

La semplifica invece arrivare a casa e far andare una caldaia autonoma quando vuoi, magari al minimo, anche di notte. Alzarsi al freddo con la vescica gonfia per aggiungere un tronco è una delle seccature a cui ci si abitua, ma ad una certa età, e mio padre l’ha raggiunta, diventa pesante.

Ciao!!!”


Aggiungo questo che avevo dimenticato:

Occorre dello spazio per lo stoccaggio della legna. Spazio “sporco” perché la legna è sporca e sporca. E occorre una buona sega, o un'ascia, e buone mani. Mio padre si tagliava. E occorre tempo. E ti deve piacere. A me non piaceva molto, io volevo leggere. Invece mio padre mi portava con sé, e io mi portavo i fumetti appresso. 

Il tempo è limitato, non si può fare tutto, ancora oggi io preferisco fermarmi a leggere o a meditare piuttosto che fare molte altre cose. La tecnologia è costosa, invadente e ossessiva, ma semplifica la vita. Schiacci un tasto e non devi fare altro. Se i mezzi finanziari non mancano, forse è meglio pigiare il tasto e fare ciò che ami. Se mancano, meglio i rimedi tradizionali, ma il tempo per leggere i fumetti svanirà.

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