Ci sono due modi per cambiare la nostra vita: uno è cambiare il nostro modo di vivere, la realtà che ci circonda; l'altro è intervenire su quel magico, microscopico, interruttore bioelettrico nascosto nei meandri della nostra mente, che cambia la realtà in un clic.


giovedì 13 settembre 2012

ESSENZIALE - SUPERFLUO


Ho scritto un commento sul post di Emanuela, che vi invito a visionare qui:

http://bosco-dei-sogni.blogspot.it/2012/09/tre-giorni-al-rifugio-tuckett.html#comment-form

ma è troppo lungo, non ci entra nei commenti, lo propongo di seguito.


"ciao,

vorrei scrivere qualcosa di abbastanza controcorrente rispetto ai tuoi post, ma ormai è da un po' che lo sperimento. Riguarda il concetto di essenziale. Vorrei partire da lontano, dal pensiero "dualistico" ma mi rendo conto che siamo in un'epoca in cui c'è poco tempo e tutto dev'essere presentato già pronto, definito, chiaro e abbastanza superficiale perché ciò che è davvero profondo, alla radice delle cose richiede molto, molto tempo per essere vissuto, sperimentato, assimilato.

Dirò solo questo. C'è una fase del pensiero, istantaneo, subitaneo, in cui se hai la consapevolezza di avvertirlo, la differenza tra essenziale e superfluo scompare completamente. Oddio, scompare praticamente ogni classificazione e la mente rimane istantaneamente limpida e pura, è un attimo, non saprei dire come si raggiunge questo stadio, se per caso, per natura, non so... forse è come la scoperta del fuoco: uno scopre il fuoco, riprova ad accenderlo e zac, finito ha scoperto il fuoco, cuoce i cibi e si riscalda. Quello che posso dire è che questa fase non si raggiunge con lo sforzo, lo studio o l'impegno, un semplice colpo di fortuna conta molto di più.

Cmq, quando la mente è davvero quietata, lo è anche il corpo, l'anima. Bene, in questa fase non c'è "l'essenziale"; non c'è l'essenziale perché non c'è neanche il superfluo. L'essenziale viene definito dalla mente solo quando hai classificato "essenziale" in contrapposizione a "superfluo". Hai fatto la partizione e scegli uno dei due oggetti. Bene, hai creato una contrapposizione, un conflitto che prima non c'era essenziale-superfluo. Ti sei posto un problema, adesso cerchi una risposta, una soluzione.

La quiete della mente, la riconciliazione con il proprio vissuto non si ha quando raggiungi l'essenziale, contrapposto al superfluo, ma quando la mente "di ogni istante" non opera più la partizione, la differenza. Scompaiono entrambi, assorbiti dalla realtà che è molto più complessa di "essenziale-superfluo" ma che è in grado di farli convivere armoniosamente, serenamente, nella realtà esistono entrambi, il problema è la nostra mente che accetta solo uno dei due termini escludendo l'altro, l'altro gli da fastidio.

Stessa cosa per moltissimi concetti, politici, religiosi, economici, culturali, familiari, etc, la contrapposizione "essenziale-superfluo" è solo un esempio di come fare a creare un problema, che non c'è, e cercare una soluzione che non c'è. Si direbbe che nella pratica invece il problema oggettivamente ci sia, ma è facile dimostrare che nasce con il disagio della persona, con la decisione di operare la "partizione". Dimostrarlo è semplice anche senza ricorrere a pensieri complessi: tutti noi conosciamo persone che "non si pongono problemi" e magari ci aspettiamo che per punizione saranno "raggiunte" dai problemi. Nella realtà dei fatti, quelle persone che "non si pongono problemi" non hanno mai "più" problemi degli altri, sono e vivono come gli altri, solo che appunto "non si pongono problemi". 

Superando il dualismo "essenziale-superfluo" che ha generato il problema, il dilemma, la questione, la mente torna quieta. Se non viene superato, se si continua a ragionare in termini di "essenziale-superfluo" sarà peggio della tela di Penelope, anche lasciando una stanza vuota una mente abituata al ragionamento dualistico, contrapposto, avvertirà che qualcosa non va, e sarà terribilmente infastidita, distratta, turbata, infelice se non "sistema" quello stato di cose. Eppure la stanza è praticamente vuota, cosa si può fare di più? Non c'è bisogno di arrivare alla "stanza vuota" per sapere che anche "quando sarà vuota" la nostra situazione, il grado di soddisfazione non varierà. 

E viceversa è vero il contrario, com'è facilmente dimostrabile, dato che innumerevoli persone sono in grado di vivere nel disordine esterno apparente senza esserne più di tanto turbati, producendo come gli altri, non avendo handicapp di sorta rispetto ad altri molto più ordinati. E io credo che sia tutto lì: "non si pongono il problema". Non creano una partizione "ordine-disordine". Non creandola non si sentono turbati, non vivono una situazione come "anomala", da riparare, da sistemare. Vivono e basta. Alcuni li chiameranno "ignavi" altri "saggi", ma uno dei vantaggi di non operare partizioni è che non ci sono "ignavi" nè "saggi" ci sono... ignavi e saggi, nella stessa persona e se si comprende questo allora è possibile in un lampo risolvere i propri conflitti interni e scoprire di aver risolto una moltitudine di nodi che assilavano praticamente senza accorgersene"

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martedì 11 settembre 2012

DECLUTT... BERK!!!!!


Ho lasciato un commento ad un post sul tema del decluttering qui:

http://viaggioleggero.com/2012/09/11/decluttering-in-ufficio-un-infografico/#more-608

lo ripropongo, invitandovi a seguire la discussione seguita anche nel sito indicato.


"Io intaso la mia scrivania di roba assolutamente inutile e superflua perché se non lo faccio sembra che io sia leggero di carico e mi arriva altra roba. 

Sembrerebbe intelligente ripulire la scrivania, ma in un mondo competitivo come il nostro, che è anche abbastanza stupido, se vuoi scaricare il lavoro sul collega e farlo schiattare, ed evitare il contrario, carica la scrivania di roba. E' una mossa strategica di successo, chi sembra indaffarato viene visto bene, chi sembra troppo rilassato viene additato come poltrone. Carica la scrivania di roba inutile e poi riditela sotto i baffi. In alternativa svuota la scrivania e aspettati di fare la fine del mulo. 


Come dice sempre mio padre: 

"L'asino che lavora è sempre carico".


Un manager non carica la schiena di uno che soccomberà sotto il peso trascinando giù il suo bagaglio e la sua carriera, caricherà la schiena dell'asino che ce la fa. Meglio non dare l'impressione di farcela. 

Questo in un ambiente medio e normale, quale credo sia il mio. Se hai la fortuna di vivere in un ambiente davvero meritocratico, deburocratizzato, con capi intelligenti ed intuitivi e niente nepotismo né simpatie particolari, allora porta pure il declutering e il rilassamento al massimo anche mentre lavori. 

Solo un'aggiunta: mi spiace davvero che venga data tanta importanza al decluttering materiale, prima il decluttering dovrebbe riguardare i pensieri, le idee, le opinioni, il cervello insomma. Un cervello pulito ed efficiente gestisce milioni di oggetti tutti insieme. Un cervello stanco non riesce neppure a darsi la forza di lavare la tazzina del caffé al mattino. 

Occorre puntare su sé stessi, non sull'ambiente. Su sé stessi in forma prima che sull'ambiente ordinato. Sù sé stessi concentrati, prima che sulla casa pulita. E se qualcuno pensa che per avere una mente pulita ed efficiente occorra prima ripulirsi intorno credo stia sbagliando, occorre prima rilassare la mente, solo dopo la pulizia, l'ordine, il meno, saranno un riflesso di ciò che si ha dentro. 

O almeno, per me, funziona così. Se hai la mente pulita un po' di disordine non è niente. Se non ce l'hai lo sforzo di ordinare prosciuga tutte le tue energie e la vita rimane vuota."

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venerdì 7 settembre 2012

SULLA "PIRATERIA"



Ho lasciato un commento sul tema della "pirateria" delle opere digitali e cartacee qui:

http://www.kindleitalia.com/ebook-e-pirateria-quale-sara-lo-scenario-futuro-3320/

Lo ripropongo:


"Mio nonno andò a bottega per imparare il pregiato (ma malpagato, si era in tempi di guerra) mestiere di calzolaio. I calzolai costruivano la scarpa, oggi si ripara soltanto. Poi arrivò l'industria e mio nonno dovette andare in miniera, poi nelle fabbriche, poi all'estero, poi... Il progresso gli aveva tolto il lavoro, fece altro, soffrì, per tutta la vita riparò scarpe a titolo gratuito. Mai nessuno emanò una legge a sua protezione della categoria, le scarpe si potevano comprare già pronte ed inscatolate. Molti industriali divennero ricchi, lui dovette ricominciare da zero.

Oggi è uguale. Sempre è uguale. Forse la differenza, con la diffusione della "pirateria" è che gli industriali non diventano ricchi e i "consumatori" ricevono il prodotto gratis, ma la distruzione del posto di lavoro, quello che ti da da vivere, a causa del progresso è sempre avvenuta.

Adesso ci scandalizziamo perché gli industriali ricchi hanno la capacità di influenzare tramite i media, di "far indignare", ma è una visione apparente della realtà: la drammatica perdita di quel tipo di lavoro è inevitabile, mio nonno era un genio della scarpa ma non poteva vivere solo riparandole; quello che cambia è che adesso vengono colpiti pure gli interessi dei "ricchi".

E se qualcuno mi cita i dati sul numero di posti di lavoro persi, io gli tiro fuori i dati sulla "produttività", ovvero come sostituire umani con elaboratori elettronici anche quando le cose vanno ottimamente e i profitti gonfiano le tasche. Si vedrà che il crollo del potere di acquisto e degli occupati dell'industria non dipendono dalla pirateria ma dalla ripartizione del fatturato, sempre più a vantaggio del profitto e a detrimento dei salari. Povero, schifoso, una volta dignitoso lavoro con contratti decenti.

La "pirateria" è un falso problema per i lavoratori, ma un "vero" problema per gli industriali. 

L'avidità è un falso problema per i "ricchi" (lo sono e se ne fregano) ma è un "vero" problema per i lavoratori.

Lasciamo che i ricchi si preoccupino della pirateria e i lavoratori si preoccupino, come hanno sempre dovuto fare, di adeguarsi ad un mondo che cambia."

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giovedì 6 settembre 2012

FIGHT THE POWER


Stamani ho finalmente ascoltato fino in fondo qesta meravigliosa canzone di Dario Fo, nel finale è descritta l'unica arma oggi efficace contro il potere:

HO VISTO UN RE

Dai dai, conta su…ah be, sì be….
- Ho visto un re.
- Sa l’ha vist cus’e'?
- Ha visto un re!
- Ah, beh; si’, beh.
- Un re che piangeva seduto sulla sella
piangeva tante lacrime, ma tante che
bagnava anche il cavallo!
- Povero re!
- E povero anche il cavallo!
- Ah, beh; si’, beh.
- è l’imperatore che gli ha portato via
un bel castello…
- Ohi che baloss!
- …di trentadue che lui ne ha.
- Povero re!
- E povero anche il cavallo!
- Ah, beh; sì, beh.

- Ho visto un vesc…
- Sa l’ha vist cus’e'?
- Ha visto un vescovo!
- Ah, beh; si’, beh.
- Anche lui, lui, piangeva, faceva
un gran baccano, mordeva anche una mano.
- La mano di chi?
- La mano del sacrestano!
- Povero vescovo!
- E povero anche il sacrista!
- Ah, beh; si’, beh.
- e’ il cardinale che gli ha portato via
un’abbazia…
- Oh poer crist!
- …di trentadue che lui ce ne ha.
- Povero vescovo!
- E povero anche il sacrista!
- Ah, beh; si’, beh.

- Ho visto un ric…
- Sa l’ha vist cus’e'?
- Ha visto un ricco! Un sciur!
- S’…Ah, beh; si’, beh.
- Il tapino lacrimava su un calice di vino
ed ogni go, ed ogni goccia andava…
- Deren’t al vin?
- Si’, che tutto l’annacquava!
- Pover tapin!
- E povero anche il vin!
- Ah, beh; si’, beh.
- Il vescovo, il re, l’imperatore
l’han mezzo rovinato
gli han portato via
tre case e un caseggiato
di trentadue che lui ce ne ha.
- Pover tapin!
- E povero anche il vin!
- Ah, beh; si’, beh.

- Ho vist un villan.
- Sa l’ha vist cus’e'?
- Un contadino!
- Ah, beh; si’, beh.
- Il vescovo, il re, il ricco, l’imperatore,
persino il cardinale, l’han mezzo rovinato
gli han portato via:
la casa
il cascinale
la mucca
il violino
la scatola di kaki
la radio a transistor
i dischi di Little Tony
la moglie!
- E po’, cus’e'?
- Un figlio militare
gli hanno ammazzato anche il maiale…
- Pover purscel!
- Nel senso del maiale…
- Ah, beh; si’, beh.
- Ma lui no, lui non piangeva, anzi: ridacchiava!
Ah! Ah! Ah!
- Ma sa l’e', matt?
- No!
- Il fatto e’ che noi villan…
Noi villan…
E sempre allegri bisogna stare
che il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam,
e sempre allegri bisogna stare
che il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam!

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NE TROPPO NE TROPPO POCO



Il Primo lasciò il suo lavoro perché non era disposto a sopportare la gerarchia e la prigione di un posto fisso conveniente ma abbastanza alienante, come tutti i lavori ordinari e dipendenti. Laureato tecnico, comandato da gente forse meno in gamba di lui, ha detto basta e si è preso un periodo. Ha fatto di tutto, molti hobby, molti sport, molte passioni. Forse troppe, tutte insieme, in modo bulimico, con tanta energia, continuando a formarsi nel suo campo specifico. 

Adesso fa quello che faceva prima, da consulente. Guadagna di meno, ha più responsabilità, si sente (forse) più libero, credo sia più frustrato perché i suoi progetti non vengono approvati, ma le idee si scontrano sempre con la realtà industriale, o con la realtà tout-court. Dice che non tornerebbe indietro, ma che non è andato neppure avanti. Stupidi erano i suoi capi, adesso i suoi committenti, solo che prima loro cercavano lui, adesso è lui che deve cercare stupidi committenti. C'è pure crisi. Ha fatto tanto, niente di definitivo, niente di grande, tutto abbastanza piacevole, cose da sempre volute, che adesso non interessano poi tanto, spera che il suo lavoro da consulente possa sfondare e generare qualcosa di nuovo nel campo industriale. E' single e senza figli.


Il Secondo non era troppo contento né troppo scontento, insoddisfatto dentro sicuramente, giovane e laureato guadagnava davvero molto per la sua posizione, casa di proprietà regalata dai genitori, fidanzato senza troppa passione. Molti hobby da provare, sopito desiderio di uscire dalla gabbia, ha colto un'offerta favolosa di messa in mobilità e investito i soldi, cosa che gli permetterà insieme alla proprietà della casa di non lavorare, nel senso comune del termine, ancora per molto. 

Viaggia, non è più fidanzato, un po' fuori dal circuito delle classiche amicizie a motivo della sua scelta che non si abbina con le esigenze degli altri lavoratori costretti a correre. Va lento, coltiva qualche hobby, qualche curiosità, un po' di sport, non a livello agonistico, per puro diletto, calmo e piacevole. Non troppo né troppo poco. Non tornerebbe indietro ma non ha l'ambizione dei grandi progetti, non adesso almeno. Vive, il denaro oggi non manca, viaggia ma non spreca. Non è sposato, non ha figli.


Il Terzo aveva le idee più chiare: ha lasciato il posto fisso perché non ne poteva più e aperto un locale in un bel posto. Soldi davvero pochi, orari strani, tempo libero e molta natura. Single e senza figli. La crisi ha colpito la zona e la gente spendeva di meno, ha chiuso il locale ma è un lottatore e sta cercando di inventarsi qualcosa.


Infine, a mio avviso, l'esperienza più interessante perché più condivisa, il blog di Alberto (www.scalalamarcia.com) che è assente da quattro mesi, da cinque non scrive più della sua coraggiosa e rischiosa esperienza di lasciare il lavoro, il posto fisso, per trovare un modo diverso di vivere: Alberto è sposato e ha deciso di fare il passo alla nascita del suo bimbo. Nei diversi post ha descritto i dubbi, le paure, le speranze, le decisioni e indecisioni, leggendolo si trova un'esperienza ancorché ancora parziale molto vera e onesta. Dico parziale perché a un certo punto ha smesso di raccontarsi, credo che lo shock del cambiamento abbia bisogno di tempo per essere vissuto, superato, raccontato, valutato nei suoi successi e insuccessi.


Ho voluto scrivere quattro storie di persone reali, conosciute in rete, omettendo i nomi dei primi tre, perché credo che rappresentino bene lo spaccato di un tentativo di abbandono del posto fisso, di "minimalismo" o "decrescita", vissuto come tale, ovvero la voglia di lasciare il lavoro quando non c'è costrizione o impellenza a farlo, come scelta per un tentativo di vita diversa. Non credo siano storie esaltanti o deprimenti, credo siano storie vere, e le storie vere, quelle quotidiane, che non finiscono sui media o non servono a venderti qualcosa, sono sempre né troppo né troppo poco.  

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