Andate qui:
http://miostilelibero.com/2013/02/22/la-felicita/
e leggete tutto.
Bellissimo.
-
Ci sono due modi per cambiare la nostra vita: uno è cambiare il nostro modo di vivere, la realtà che ci circonda; l'altro è intervenire su quel magico, microscopico, interruttore bioelettrico nascosto nei meandri della nostra mente, che cambia la realtà in un clic.

domenica 24 febbraio 2013
domenica 3 febbraio 2013
OTTIMISMO...
Litigo sempre con chi si dice ottimista e da a me del pessimista, non ci posso fare niente. Li tengo lontani come se fossero un virus malefico.
E in effetti virus lo sono, spiego perché.
Premetto che di ottimisti ce ne sono fin troppi. Ne abbiamo alcuni al potere da una vita, sotto tutti i colori e non se ne vogliono andare. Ricordo le previsioni dei pessimisti, pessimisti non catastrofisti, che è cosa diversa. Bene, la situazione mondiale è peggiore di quella che i pessimisti avevano delineato anni fa, eppure non si parla più di loro, di quanto avessero visto giusto. Come mai? Forse perché un pessimista non interessa più nessuno quando il disastro che aveva annunciato si è realizzato? Non lo so. So che gli ottimisti sono ancora lì a sparare fesserie e incoraggiamenti, i pessimisti che invece colsero la verità di un sistema economico, politico, sociale, religioso in disfacimento sono caduti nell'oblio.
Mi ricorda il detto dei Borboni "per il popolo festa, farina e forca": divertimento, pane e ordine. Oppure il "panem et circenses" romano. Ma entrambe queste forme di manipolazione presuppongono che venga instillata una pesante dose di ottimismo, altrimenti non funzionano. Uno che vede nero e vede la realtà presente e non quella ipotetica futura, non festeggia e non va al circo. Per questo gli "ottimisti" li vedo come virus, oggi, portano tanti di quei batteri con loro da stendere un elefante in ottima salute.
C'era un tipo che vinse una guerra mondiale, un inglese, nel suo discorso di insediamento, sotto le bombe, disse "Vi prometto solo sudore, lacrime, sangue". Uno così gli ottimisti lo fucilano scandalizzati... sfido io, gli ottimisti non vincerebbero mai una guerra.
E poi oggi sono tanti, a me sembrano malati di testa, spingono a vedero rosa e guai se non ti accodi.
Gli ottimisti creano un problema nella loro testa e poi cercano di risolverlo col loro ottimismo.
E' come una droga, prima ti fai venire la depressione così hai la cura già pronta.
In realtà non si ha bisogno dell'ottimismo se non si cade nella trappola precedente della paura. L'ottimismo serve solo quando hai paura. Se uno è sereno non è né ottimista né pessimista. Ne ho già parlato:
http://exodusclic.blogspot.it/2011/09/che-fortuna.html
Oggi mi sono alzato con questo pensiero:
Non m'importa nulla se penso in maniera ottimista o pessimista, quello che conta è che io compia le azioni, che le compia e basta.
Alle azioni non frega un fico secco se chi le ha compiute sia ottimista o pessimista, i frutti ci saranno comunque. Le azioni necessarie, le azioni migliori. Posso compiere le azioni migliori per me, chiamiamole ottimistiche, anche se mi sono alzato pessimista da morire e con la voglia di mitragliare qualcuno.
Per compiere le azioni migliori, più produttive, più "felici" non ho tanto bisogno di un cervello zuppo di ottimistiche e beote endorfine, ma di volontà, spesso di spirito di sacrificio, di accettare dei rischi (molto) calcolati, di provare a spingermi un po' oltre il buio della giornata.
E questo dipende molto più dalla fede che dall'ottimismo.
Si può andare avanti anche col corpo che recalcitra, oppure affondare tutto contento in preda all'ottimismo, vi assicuro. In fondo, è ciò che sta succedendo all'Italia intera. Sta annegando nel proprio precedente ottimismo.
Se trovate un uomo sereno accodatevi a lui. Se incontrate un ottimista scappate: coi tempi che corrono è l'unico modo per evitare un accusa di lesioni, basta un attimo di distrazione e vi trovate che gli avete già sfasciato la testa.
-
venerdì 1 febbraio 2013
NON UNA PAROLA
San domenico andò a far visita a San Francesco, si salutarono abbracciandosi calorosamente ma per tutto il tempo non si scambiarono una parola. Così, al momento di riprendere ognuno la propria strada, si erano raccontati tutta la loro vita.
Ecco, credo che questo sia il tipo di rapporto che mi piace avere con le rare rare persone a cui tengo davvero, le parole mi distraggono.
-
sabato 19 gennaio 2013
EDITORIA KAPUTT
Prima di continuare leggete assolutamente l'articolo originale da cui nasce questo post, qui:
http://viaggioleggero.com/2013/01/17/perdere-il-lavoro-4-la-paura/#comment-681
C'è una bella testimonianza e poi un'interessantissima e sintetica analisi del mondo dell'editoria oggi. Quello che posto è solo l'ultimo dei miei commenti.
"Bellissimo articolo, dovresti farci un post ad hoc. E dovrebbero leggerlo anche gli studenti, soprattutto.
L'ho letto e riletto più volte, a me più che le successive deflagrazioni che fanno crollare, esplodere, collassare un'impalcatura economica interessa comprendere quale sia la scintilla, la miccia, la goccia che fa traboccare il vaso.
Vediamo se ho capito bene, e poi lo metto a confronto con gli studi che ho fatto:
l'italiano scrive molto e legge poco è un dato storico. Prima non c'era Internet e la gente comprava un giornale, un quotidiano, una rivista. All'interno delle redazioni c'era gente con un contratto di lavoro valido, magari dopo anni di gavetta. Data questa struttura, ci si poteva permettere una certa professionalità del personale e una buona qualità dello scritto in termini di contenuti.
Il mercato era "libero". Quindi i "piccoli/medi" editori potevano competere. Non era il lettore ma la pubblicità che permetteva un profitto. I grossi gruppi sono sempre stati sovvenzionati dai soldi pubblici, anche oggi.
Cmq negli Stati Uniti credo che la situazione delle vendite sia uguale: le vendite permettono la copertura dei costi, la pubblicità garantisce un profitto. I grossi gruppi poi ricevono di quegli aiuti da far impallidire i mercanti di armi. D'altronde nessun candidato al mondo di nessun partito politico riesce ad essere eletto senza l'adeguato sostegno di una parte almeno di stampa favorevole e che chiederà di essere ricompensata per i servizi resi. Forse è così in tutto il mondo.
Però ad un certo punto, mi viene da ridere, alcune leggi "ad personam" (ma tanto non si scandalizza più nessuno) favoriscono i Grandi Gruppi consentendo guadagni ancor più favolosi e uccidono letteralmente quel po' di libertà che il mercato era riuscito a ritagliarsi. Solo chi sfrutta di più le sue risorse umane vivacchia, chi garantiva qualcosa in più muore o abbandona il campo.
Finora è corretto? Perché messa così sembra più un danno generato da un azione "politico-industriale" che realmente di mercato. Un danno insomma che proviene dall'alto. Poi c'è un eccesso di offerta (di giovani che vogliono fare giornalismo) che, nella situazione che si è venuta a creare, permette un ulteriore abbassamento dei "costi" ovvero delle garanzie sindacali, contrattuali, salariali. Anche perché, nel frattempo, da un lato sono nate nuove forme contrattuali ancor più penalizzanti e dall'altro gli stessi tribunali del lavoro non riescono a garantire gli stessi diritti che un tempo venivano riconosciuti (questo sta succedendo in moltissimi settori).
I nuovi media impiegano sì risorse ma non garantiscono gli stessi contratti presenti nel "vecchio" giornalismo, e non richiedono la stessa professionalità... e giù, e giù, e giù...
Il fatto che analizzata così la crisi del settore editoriale mi sembra legata al generale degrado dei diritti e delle condizioni dei lavoratori post crollo dell'ex URSS (non c'è alternativa al capitalismo quindi il capitalismo fa quello che vuole). Ovvero la miccia non è che l'italiano legge meno, al massimo legge peggio, su video invece che su carta. poi, una volta doveva comprare una rivista e magari leggerne solo il 15-20% (già il 50% era pubblicità), oggi quel 20% lo scorre semplicemente su internet.
Da un lato risparmia, dall'altra c'era una rivista lì sul suo tavolo e se era di qualità magari la sfogliava distrattamente e ogni giorno imparava qualcosa di nuovo e importante. Oggi va su internet, si legge il suo 20% che gl'interessa e poi si lascia trasportare dalle onde di internet che ripropongono per la maggior parte il peggio della spazzatura TV: pubblicità palese o occulta, gossip, foto succinte, e articoli senza fonti e senza fondamenti. Il copia/incolla poi è semplicissimo, basta citare la fonte e un unico articolo viene replicato milioni di volte, cosa impossibile con la carta.
Da una lato quindi la politica delle multinazionali che soffoca il mercato "libero", gli interessi, la distruzione dei lavoratori del settore che ormai sono "costi" e non risorse, e l'offerta di un'editoria da discount che è perfetta per l'uomo moderno con poco tempo e tanta e forse morbosa curiosità.
Ricordo che a dieci anni leggevo un famoso periodico pieno di ricche informazioni perché ce lo portavano gratis, i circoli ricreativi erano abbonati e poi invece di buttarli finivano in varie case di soci che potevano rileggerli con tranquillità o regalarli ai vicini. Credo che siano state le migliori letture, e tra le più formative, della mia vita.
Vista così la crisi appare irreversibile, legata com'è a delle specifiche leggi, a uno specifico modello di sfruttamento del lavoro su scala legislativa, ad uno specifica "libertà" da parte dell'utente di scegliersi le letture gratis (poco impegnative, rapide, inutili).
Si parla tanto di "mercato" e proprio chi più ne parla e il maggior interessato al suo annientamento, alla sua riduzione a propagine della propria attività industriale, senz'anima, senza profondità, simile più ad un allevamento di polli che ad un'arena di galli. Vabbe'... e se ho commesso errori correggimi, vado a buttare le speranze di una ripresa del mondo editoriale.
Ciao."
-
giovedì 17 gennaio 2013
FUMETTI
Ero bambino e leggevo fumetti, ragazzo e leggevo fumetti, entravo nell'età adulta e leggevo fumetti. Ero molto felice. Però ero riprovato. La mia famiglia non approvava, diceva che perdevo troppo tempo. Mio zio mi disprezzava e lo dimostrava in quelle belle riunioni di famiglia in cui gli arroganti adulti possono essere sprezzanti e i ragazzi se reagiscono sono dei maleducati.
Ero felice quando leggevo fumetti. Mi sono laureato mentre lavoravo e... leggevo fumetti. Ho speso tantissimo in fumetti per quelle che erano le mie scarse possibilità. Se non avessi letto fumetti non avrei retto allo stress di solitudine, precarietà, studio e lavoro tutto insieme allo stesso tempo.
Però un uomo maturo non legge fumetti, è roba da bambini. Una persona responsabile legge il giornale. Come mio zio, che conosceva il sistema proporzionale e poi il maggioritario col "tatarellum" che permetteva il rientro dalla finestra con la quota proporzionale di chi ero stato scalzato col sistema maggioritario. L'ultima legge elettorale, il "porcellum" probabilmente non ha segreti per lui. Poi un uomo maturo lavora. Non solo negli orari di lavoro, ovvio, la persona responsabile lavora SEMPRE. Io leggevo fumetti e spesso riposavo perché ero stanco, e questo non piaceva. Occorreva lavorare sempre per costruirsi un futuro.
Credo abbia ragione mio zio. Ha due figli. Senza l'appoggio della famiglia entrambi non sopravviverebbero, io me la sono sempre cavata da solo. Ma si sa, le giovani generazioni sono deboli, pigre, non sanno affrontare le cose, se non fosse per gli anziani come loro farebbero la fame.
Naturalmente mio zio non sa niente del carico contributivo che grava su ogni reddito dipendente, che paga la sua pensione, mentre lui non ha avuto lo stesso carico, dato che gli anziani in buona salute e percettori di pensioni per lunghi anni un tempo erano molti di meno. Ma non ha importanza, in fondo mio zio lo sa di essere un ignorante, forse per quello legge sempre il giornale. Lui non ha studiato, ha lavorato e basta. C'è un abisso tra lui e le nuove generazioni che è inutile cercare di colmare, di dialogare, è semplicemente impossibile e non è neppure richiesto che avvenga.
Ma io ero davvero felice nel leggere fumetti, e in quegli anni il disprezzo, che è un male che si propaga, come la calunnia, il pettegolezzo, il giudizio, la riprovazione, ha creato un solco imcolmabile tra me e il resto della mia famiglia. Non che interessi a mio zio, lui in fondo è felice di non avermi tra i piedi. Forse un po' sarà dispiaciuto agli altri, quelli come mia madre che non vedo da dodici anni. forse un po' le dispiace che io non sia mai tornato indietro a trovarli, ma avremmo tutti solo da perderci a trovarci insieme senza sapere cosa dirci e ognuno a guardare l'orologio sperando che il supplizio finisca presto.
Quando muovi guerra a qualcuno devi essere disposto ad accettarne le conseguenze. Credo sia così anche nella vita e negli affetti. Non ho mai criticato gli attacchi, il disprezzo, l'incomprensione, credo che gli esseri umani per la maggior parte siano bestie ottuse e non mi aspetto da loro un bene effettivo, credo che debbano disperatamente aggrapparsi a qualcosa di più grande di loro per compiere del bene davvero nella loro vita. Qualcosa di più grande di loro se ci credono e se lo trovano.
Quello che invece ho sempre detestato è chi rifiuta le conseguenze. Chi non le accetta. La mia famiglia non mi ha difeso, io volevo solo stare tranquillo a leggere fumetti, per il resto non ero una persona diversa dagli altri, solo un po' meno brillante e un po' più introversa in certe cose. Solo un po' diversa. Giorno dopo giorno la freddezza ha sostituito quello che forse sarebbe potuto essere, sono andato via senza guardarmi indietro. Oggi mi guardo indietro e ringrazio Dio per dove sono adesso. A leggere fumetti. Il resto non mi interessa. Quando qualcosa muore non puoi risuscitarla.
Alla fine, l'importante, almeno per me, non era e non è la politica, l'economia, la brillantezza o il successo sociale, il reddito elevato, l'apparente compattezza familiare, il ragionare tutti allo stesso modo e con le stesse idee. Per me era leggere fumetti. Questo mi rendeva felice e capace di ridere affrontando ogni singolo giorno.
Alla fine, forse, la mia famiglia potrebbe aver avuto tutte le ragioni del mondo, anche se il destino non sembra averla particolarmente favorita, anzi, dolore e sofferenza hanno abbondato in chi credeva di detenere la conoscenza che l'avrebbe salvata. Forse avevano ragione dal punto di vista loro, il sacrificio per il gruppo e le sue regole è sempre stato un assioma indiscutibile.
A me rimangono i fumetti e due gatti amorevoli e meravigliosi. Basta così, si tengano il pure il resto. Sono felice così. :-)
sabato 12 gennaio 2013
ABITUDINI
Ci siamo abituati a credere a tutto quello che pensiamo.
È un errore.
Spesso ciò che pensiamo non è reale.
Wilfried Reiter
-
giovedì 10 gennaio 2013
PRIMA VENNERO...
Prima vennero a prendere gli zingari, e fui contento perchè rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato perché erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti, e non dissi nulla perchè non ero comunista.
Poi vennero a prendere i sindacalisti, ma io non ero iscritto al sindacato.
Un giorno vennero a prendere me, e non c'era più nessuno per protestare.
Martin Niemöller
-
Iscriviti a:
Post (Atom)
Informazioni personali
Lettori fissi
Powered by Blogger.