Ci sono due modi per cambiare la nostra vita: uno è cambiare il nostro modo di vivere, la realtà che ci circonda; l'altro è intervenire su quel magico, microscopico, interruttore bioelettrico nascosto nei meandri della nostra mente, che cambia la realtà in un clic.


martedì 31 maggio 2011

NON-OBIETTIVI - PARTE QUINTA



Se un uomo si prende cura di sé, alla fine porterà a termine la sua missione e sarà un prode


Hagakure, libro II passo 130


Avevo scritto una risposta al commento di Patty qui, ne è uscito fuori questo e ho pensato di postarlo.

Come saprà chi ha seguito le precedenti puntate di questo strano gioco che abbiamo inventato, ognuno di noi ha formulato obiettivi, li ha proposti, pubblicati, si è offerto di farsi controllare e incoraggiare dagli altri nel loro raggiungimento. Ecco il testo che avevo preparato come risposta:

"Ehm...

Non ho capito bene il tuo ultimo commento, però credo di averne afferrato il senso. Ammetto di essere un grandissimo bastardo provocatore ma se andiamo a vedere i post passati e ciò che ho scritto, credo sia andata esattamente nel modo in cui avevo pensato dovesse andare. Alla lettera e anche nei particolari (vedi l'obiettivo "tedesco").

Adesso, non ripeto le cose in quanto sarebbe inutile, sono chiare le attitudini di Alberto, te e me stesso, e il modo in cui ognuno di noi affronta le cose, le vive, le azioni, le reazioni, i sogni e la realtà. Il mio scopo infatti, l'ho scritto più volte, non era riuscire a raggiungere obiettivi (credetemi quelli per me sono una fesseria) ma dimostrare quello che poi è successo. Ovvero che un corridore centometrista non avrà successo giocando a golf, che un esperto di biliardo non può sollevare pesi olimpici, e così via. Ognuno ha delle attitudini specifiche e un modo di affrontare le cose specifico. Inutile omologarci tutti e pensare in maniera stereotipata agli "obiettivi".


Gli obiettivi non esistono.


Sono un prodotto culturale della nostra società, inculcatoci in mente. Lo diamo per scontato e ci imbarchiamo in acque che non sono le nostre.

D'altronde gli altri, coloro che ci stanno vicino, lo sanno, per istinto comprendono le cose in cui possiamo riuscire e quelle che invece sono solo chimere. Siamo noi che non lo sappiamo. Crediamo che in fondo, silenziosamente, noi stiamo lavorando per raggiungere un obiettivo. Senza comprendere che in realtà quello che stiamo facendo è vivere la "nostra" routine, nel modo in cui meglio crediamo, in cui meglio sappiamo viverla, ed è questa che porta i risultati, non gli obiettivi.


Gli obiettivi non sono un aiuto, sono un freno.


Concentrati sugli obiettivi, non sappiamo più curare il giardino della nostra vita. Ma non sono obiettivi, infatti se messi alla prova noi vediamo i risultati concreti quali sono, e cosa facciamo? Cambiamo obiettivo! Ma ripeto, è un prodotto culturale. Ad alcuni si adatta, ad altri no. Non è per tutti, non c'è niente di male che non sia per tutti. Si è visto il modo in cui ognuno di noi affronta le cose. Quali sono i suoi sogni, piccoli e grandi, i suoi limiti, il suo approccio alla quotidianità, la sua capacità di far entrare determinate cose nella quotidianità. E, alla fine, entrano solo le cose che amiamo.


E come sappiamo che le amiamo?


Perché le facciamo fino a farci dolere gli occhi, le dita, le giunture delle ossa, con uno sforzo che è solo piacere di fare, quindi non è sforzo. Le facciamo perché le amiamo, non perché un altro ci controlla.

Io sono sicuro ormai di centrare tutto quello che ho scritto, ma per un motivo semplice: ho inserito solo cose che amo profondamente (incluso lo stare lontano dalle persone negative), cose che mi portano piacere nel loro compimento. Cose che portano energia, non la sottraggono. E, sono sicuro, alla fine, che se avessimo continuato ognuno sarebbe riuscito, obiettivi o no, solo nelle cose che ama davvero.

Patty, per quanto riguarda le critiche, credi che qualunque sogno tu voglia realizzare e che non sia perfettamente inserito nella casella che la Società ha preparato per te, sarà esente da critiche? Potrai evitarle solo se tieni nascosti i tuoi piani, se non è una cosa seria. Ne so qualcosa. C'è un solo modo per non sentire critiche: diventare sordo.


Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.


Io sono uno specialista nel raggiungere obiettivi, credetemi, anche sul lavoro doppio sempre tutte le previsioni infatti da cinque anni non mi danno obiettivi in quanto hanno capito che per me sono limitanti. Ma raggiungere obiettivi non vuol dire raggiungere risultati. Sono cose diverse. Puoi centrare gli obiettivi, e poi non ti apportano ciò che credevi. I meriti possono esserti rubati. Puoi credere di raggiungere la felicità e invece c'è lì solo uno stato di vuoto. Eppure, in fondo, l'obiettivo è stato raggiunto. Allora cosa c'è? C'è che non era quello. Semplicemente. Ho corso, sono arrivato in tempo, ma l'indirizzo non era quello. E cosa faccio adesso?

Posso massacrarmi in palestra, seguire tutte le tabelle ma non ottenere mai il corpo desiderato. Realizzare cose grandiose e vedermene soffiato il merito. Sposare la donna che amo, ma a lei piace andare a letto con un altro. Allevare i figli in modo splendido, ma non riescono ad amarmi. Vivere al mare ed annoiarmi.


Obiettivi e risultati sono cose diverse.


Propongo di fermare il nostro "gioco", per me è successo ciò che avevo previsto. Spero che anche Voi condividiate quello che sto scrivendo, abbiate visto le stesse cose che ho visto io. Però Vi segnalo il sito: www.buonipropositi.com che fa un po' quello che abbiamo fatto noi, ricordandoci con una mail quello che ci siamo proposti di fare.

Per Alberto: per i tuoi due obiettivi "grossi" io sono sempre disponibile, anzi così imparo qualcosa!!! E fatemi sapere cosa avete ricavato Voi da questa esperienza, altrimenti sarà stato inutile. Magari pubblicate un vostro post."


“Non ho mai pensato a vincere.

Ho solo capito che bisognava essere sempre all’altezza della situazione.

Questo è ciò che conta.”

Hagakure, codice del Samurai, libro II passo 35

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venerdì 20 maggio 2011

Il "Don"



Prima di continuare, leggete qui il premio che mi ha dato SARA (grazie!). Leggete o non si capisce poi...

Bene, tutto facile no? Lei s'è beccata la città in Brasile, bene, "che bella cosa dico io, che bel gioco...". E provo anch'io. Però a me non esce una bella o brutta città europea, indiana o vichinga, non esce una farfalla esotica o una bestia preistorica, una battaglia famosa piena di sangue e furore o una pagina conosciuta o misconosciuta della storia mondiale.

No, a me esce... Ludwig Quidde.

Già appena apro la pagina scopro che qualcosa mi fuma tra le gambe, vicino al bacino e mi sento preso in trappola. Il mio ottimo e gioviale carattere torna a farsi sentire e controllo dietro il video se qualcuno ha truccato Wikipedia: non può esserci per me uno più perfettamente sconosciuto di Ludwig Quidde. C'era un Ludwig, quello del film di Visconti interpretato da Helmut Berger, ma mi sa che non è lui. Ho un ottima memoria, se il nome non mi dice niente, so già che si tratta di qualche pagina oscura di cui non so proprio niente, non ho mai sentito niente, né neppure letto qualche avvenimento collegato. Infatti, è così.

Torno sul blog di Sara cercando di capire cosa devo fare adesso, come comportarmi. Sì perché sto' Ludwig Quide non m'ispira alcun sentimento, né positivo né negativo, né carne né pesce, né caldo né freddo. Rivedo nella mia mente la foto sorridente di Sara ed è come se m'avesse preparato uno scherzo. Riuscito. Sono in difficoltà.

Poi leggo che è stato Nobel per la pace. "Minchia!" penso (scusate, noi siciliani pensiamo così con la min..., no scusate, non c'entra neanche questo, diciamo che pensiamo e basta). Vediamo, sarà interessante, anche se la pagina non è lunga, gli avranno dato il Nobel per qualche motivo, vediamo che ha fatto:

Storico e politico tedesco, Nobel nel 1927. Di famiglia ricca, cazzeggiava all'università, laurea in storia, non divenne mai storico perché non aveva bisogno di lavorare. Mah, non mi sembra granché. Scrive un libello che fa incaxx l'imperatore, rischia grosso, se la cava per il rotto della cuffia in tribunale, e si da alla politica. Che bella vita, dico non c' ha proprio un 'azz da fare questo. Crea un partito antimilitarista e antiprussiano. Diventa portavoce della Germania, una politica di pace e tolleranza tra i popoli, Nobel, poi arriva Hitler e deve sloggiare. Muore in esilio a Ginevra.

Ricontrollo le regole del gioco da Sara: "vietato fare due volte clic sul link di "una voce a caso".

Mah... Allora cerchiamo qualche assonanza nella mia memoria:

Politica, sì politica, allora mio bisnonno. Premetto che tutta la mia famiglia ha masticato politica. Mio bisnonno era un gigantone di più di un metro e ottanta che per quei tempi erano tanti. Perde il libro di scuola e suo padre non ce lo manda più per non ricomprarlo. Così un leader nato e capo carismatico per tutta la vita avrà problemi con l'italiano e a scrivere correttamente. Ogni volta che incontra l'ostacolo, che non riesce ad esprimersi come vorrebbe, ripensa al padre che l'ha tolto da scuola. Partecipa alla prima guerra mondiale, la guerra di trincea, si riempie di freddo ed umido, per tutta la vita sentirà il freddo nelle ossa. Caporetto, una disfatta, siciliani in fuga lontano da casa, gli abitanti dei luoghi li nascondono dagli austriaci e loro ricambiano violentandogli mogli e figlie, ridendo, li derubano del poco che hanno. Mio bisnonno urla, si indigna ma non può fare niente contro quella mandria di bestie che rispondono incuranti "E allora? Fa niente". Credo che quel giorno abbia perso per sempre molte illusioni sulla natura umana, e ancor più sui suoi stessi conterranei.

Torna coi polmoni danneggiati da quel porcile in cui ha vissuto per anni. D'altronde se mettevi la testa fuori le mitragliatrici ti falciavano via, e dovevi stare ben chiuso nel fosso. Svolge il mestiere di calzolaio, lo fa bene, si sposa con una brava donna intelligente. Lui per quei tempi è un uomo moderno ed evoluto, sua moglie partorisce lo stesso tredici volte. Cinque figli superstiti, il resto muore alla nascita o in fasce. Lavora sempre, giorno e notte per mantenere la sua famiglia. Ha ideali di pace e piccola proprietà, pane per tutti e basta con le guerre, ha avuto la sua parte, non vuole rivedere più quegli orrori.

Il cielo sembra ascoltarlo e manda Mussolini. Quando si dice la sfiga. E' un giovane leader del giovane partito socialista, il fratello invece è un comunista acceso. Il fratello finisce subito al confino, al gulag pieno di malati, botte, e caporioni. Dato che sono una famiglia forte, sopravviverà a tutto, seppur con la salute gravemente compromessa. Sarà ancora lì quando il duce giace ormai a testa in giù a piazzale Loreto. Grande soddisfazione.

Lo chiamano i carabinieri e gli chiedono di prendere la tessera del partito. Mio bisnonno risponde che lui è un semplice calzolaio e non può prendere la tessera perché non avrebbe tempo di dedicarsi al fascio. Dato che è un omone grande, grosso, ma soprattutto rispettato, non lo picchiano come fanno con gli altri. Ogni mese o due lo chiamano in caserma, gli mettono l'olio di ricino sul tavolo, mio bisnonno beve, torna a casa, transita per tre giorni dal letto al bagno e poi si rimette. Ha perso tre giornate di lavoro. Niente assicurazione, contributi pensione, malattia, la moglie sempre incinta che ha bisogno, i figli avviati presto ad una vita di duro lavoro con scarsa scolarizzazione ufficiale. Dico ufficiale perché i maschi sono una specie di geni che continuano a sbaragliare tutti nelle competizioni scolastiche, leggono una cosa una volta e gli rimane scolpita in testa, sono rapidi, intuitivi e straordinariamente... figli di puttana. Si cacciano sempre nei guai. E l'omone sospira, mentre continua ad intagliare le scarpe che a volte gli pagano con ceste di frutta, formaggi, salumi, niente, quello che c'è in un'economia di guerra.

Arrivano quelli del fascio e la mia bisnonna, donna intelligente e modesta, dice alla figlia, con una voce bassa, ironica e velata di rabbia "alzati che devo preparare il caffè a quei cornuti!". Perquisizioni, arriva il fascio e guardano ovunque, buttano tutto all'aria, sollevano le lenzuola del letto di una delle figlie che cerca di opporsi. Non ha volantini politici nascosti nel letto, ma il sangue delle prime mestruazioni. Una risata, alzata di spalle e via. Non riesco a provare tenerezza, quella bambina da adulta diverrà fascistoide e anticomunista. D'altronde sposerà un bestione cattolico-fascista, rissoso ma bravuomo in fondo. Ma divago...

Sì, solito, ogni mese o due chiamata in caserma, olio di ricino, tre giorni al cesso, povertà. Sospetti, perquisizioni, la fede d'oro di mia nonna alla patria, mio bisnonno che cerca di tenere i compagni socialisti fuori dai guai, tutti che guardano a lui come una guida saggia, lui non può fare niente per cambiare le cose, con un fratello al confino e otto bambini morti in fasce. E lavoro, tanto lavoro, giorni e  notti di lavoro, fino a consumarsi le mani, gli occhi, stringendo i denti e andando avanti, un giorno alla volta, con due geni in casa che non andranno mai da nessuna parte perché rifiutano di andare a scuola e delle bambine strappate alla scuola anche loro perché senza il loro lavoro la famiglia non può sopravvivere.

Mi ricorda la canzone di Ligabue "una vita da mediano": "sempre lì, lì nel mezzo, finché ce n'hai stai lì". A sperare che qualcosa cambi, ad ascoltare "radio Londra", senza poterti muovere, senza poter fare niente. Ogni giorno a tirare la carretta di una situazione che sembra disperata, finché senti la voce nella scatoletta che ti racconta una strana storia, che Mussolini non è affatto invincibile e che infatti sta perdendo, e allora ti aggrappi a quella scatoletta con tutta la tua forza, con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore e speri, speri, speri che sia così e anche se non hai mai pregato speri che tua moglie lo faccia per te, per voi, per tutti, perché tu sei grande, grosso e goffo e non sapresti come fare. E i tuoi figli, quelle teste di c... che non capiscono quant'è importante la scuola, che non sono andati ancora in guerra perché troppo giovani, che almeno non hanno dovuto cibarsi di topi e carne di cane, e vedere uomini morti e donne violentate, senza poter fare niente per cambiare le cose.

E poi c'è quello strano apprendista che sembra tanto un testa di c... anche lui Anche se talentuoso non andrà mai da nessuna parte perché è un sognatore e perde un'ora di tempo su ogni cliente in quanto gli prende la misura di ogni piede per fare le scarpe perfette e poi produce la metà degli altri. E il cliente neanche si accorge della differenza, alla fine, non si può certo accorgere che quella che ha ai piedi non è una scarpa ma un'opera d'arte fatta su misura da un ragazzo innamorato del suo lavoro, uno che passa le serate a suonare gli strumenti musicali senza aver mai studiato musica, a intonare ballate, a preparare scherzi e ingenui intrallazzi, sempre al centro, sempre cercato e troppo sognatore per questo mondo concreto. No, uno così non gli piace, non diverrà mai un uomo serio e posato, in grado come lui di resistere alle bufere della vita e mantenere una famiglia numerosa. Ha ragione. Quel ragazzo sognatore non diverrà mai come lui. Il problema è che alla sua figlia più giovane questo non importa, visto che se ne innamora all'età di nove anni.

"Non t'innamorerai mica di lui, vero?" ripete la mia bisnonna.
"Certo che no!" risponde sdegnata la piccola.

Fuggono insieme quando lei ha sedici anni. Oddio, fuggire insieme vuol dire dormire una notte a casa di un parente che li chiude ognuno in una stanza e poi dorme nel corridoio. Non che ce ne sia bisogno, quella bambina non ha neanche l'idea di far avvicinare un uomo e il pazzoide sono anni che programma tutto per sposarla, visto che il padre di lei non vuole. E' uno stratega nato, ha fatto fuori tutti i pretendenti con un semplice accorgimento: si offre come intermediario, dato che lavora a casa del padre di lei, suggerisce un bel regalo da fare alla ragazza che gli porterà lui. All'epoca un bel regalo è un uovo, un fiore, cose così. Si fa rilasciare il regalo e lo porta alla ragazza come se fosse suo. Qualche sorriso, un complimento, un nuova fidanzata per farla ingelosire, tanto stare insieme nella casa laboratorio col bisnonno che forse subodora qualcosa o forse no, dato che è troppo stanco della sua lotta quotidiana e non ha le energie anche per combattere l'amore, oltre che la fame, la guerra, i pazzi al potere, e gli altri pazzi del suo partito che vogliono cacciarsi nei guai e rischiano di rovinare anche lui e la sua famiglia. Tra l'altro una figlia si è innamorata di un catto-fascistone. Mah, andiamo bene. Quand'è la prossima dose di olio di ricino?

Divago. Dicevo che il giovane si frega i regali dei pretendenti, li propone come suoi, conquista il cuore della ragazza, poi torna dai pretendenti e gli dice che il regalo è stato apprezzato ma che consiglia di portarne ancora, provvederà lui a recapitarli. Se qualcuno gli sta sulle balle o lo giudica pericoloso racconta che la ragazza ha detto di no, punto. Terra bruciata intorno alla sua preda, il lupacchiotto manovra. Ma tanto la bambina è cotta da quando lui per sbaglio le ha regalato una rosa. Proprio per sbaglio, era destinata ad un'altra col suo stesso nome. Lui l'ha chiesta indietro e la bambina è fuggita via con la rosa in mano, a testa china e trattenendo le lacrime, mortificata.

Porco mondo, c'è gente che studia per tutta la vita come conquistare una donna e il pazzoide ha fatto centro per sbaglio. Legati per tre quarti di secolo, finché morte non li separi. Le parole della “bambina” quando il suo uomo se n'è andato, settantacinque anni dopo, sono state: “Quant'è stupida la vita, non siamo più insieme”.

Dov'ero? Ah sì, la fujuta. dormono una notte a casa del parente, questa è la fujuta. L'indomani, ore sei del mattino c'è la messa e viene celebrato il matrimonio clandestino, con lei minorenne, non so quale espediente usano ma il prete sa tutto, il paese sa tutto, il padre di lei sa tutto, lei è uscita di casa restituendo al padre la sola cosa che era della sua casa, ovvero un fazzoletto, cosa volete che dica il padre, solleva le spalle e dice: "non posso farsi niente, è scappata con quel pazzo".

Una bella cerimonia matrimoniale, non c'era nessuno tranne sposo e testimoni, al buio per risparmiare, al freddo delle sei di mattina con un morto che era lì con la bara aperta, bene in vista, più tardi c'era il funerale. La ragazza cercava di non guardare la buonanima nella bara ma la situazione era un po' strana, il prete aveva fretta, il pazzoide non voleva confessarsi, stava anche transitando verso il comunismo, quello a modo suo tutto sogni e speranze, forse alla fine solo le lacrime della ragazzina l'hanno convinto: "Sì confessami, ti dico tutto, anzi fai tu, dimmi quello che vuoi sapere e sottoscrivo, però sbrighiamoci perché non vorrei che suo padre ci ripensa e arriva qui con i coltelli per il cuoio, anche perché lui è un colosso di uomo, io no e sono pure sottile, dai prete e sbrigati".

Anni dopo ancora rimuginava su quanto si fece pagare quel giorno il prete. La ragazza invece rimpiange ancora quello che doveva essere il giorno più bello della sua vita, celebrato al freddo, al buio, di fretta, senza nessuno e col morto vicino.

E il bisnonno tagliava cuoio, aspettava l'invito dei carabinieri e metteva incinta la moglie. Ci vuole pazienza.

E poi è circondato da gente che non capisce niente, a cominciare dalla moglie, quella donna alta, gentile, ma che proprio non sa misurare la pasta, ogni giorno, ogni santo giorno sbaglia e ne cucina troppa, si scusa e poi sbaglia di nuovo, e lui si infuria, capisce lei quanta fatica ci mette lui in quella pasta che lei butta, lo comprende?

E tu capisci, coglione, che i vicini hanno bambini affamati ancor più poveri di voi e lei la pasta non l'ha mai buttata ma gliela porta di nascosto? Capisci che sta portando la croce insieme a te, che segue ogni tuo capriccio perché è una donna saggia, che capisce tutto e fa finta di niente, che tiene unita la famiglia perché tu non ne saresti in grado, anche se lavori come un somaro di notte e di giorno? Capisci che quel pazzoide lei lo ama come un figlio perché gli è cresciuto in casa ma non può rivelarlo per non far ingelosire gli altri generi e le altre figlie? Capisci che lei ride quando vede i due giovani che per un periodo vivono insieme a voi, quando li vede giocare come bambini e farsi gli scherzi? Capisci che morirà a cinquant'anni di fatica, gravidanze, sacrifici. Che le sue ultime parole saranno per la figlia più piccola, quelle che se n'è fujuta ma che in quel momento è in Francia a cercare di guadagnare il pane insieme al marito, dirà semplicemente, credendo di vederla: "portate quella bambina a letto, non deve affaticarsi per me".

Ah, no, sono oltre. Questo è successo dopo. Prima c’è il bisnonno odiato dai signorotti del fascio che lo odiano perché con tutto il loro potere non potranno essere ciò che è lui: un capo nato, un punto di riferimento, la roccia di quella piccola resistenza che rifiuta di lasciarsi inghiottire dell'ideologia, dal male, dalla sopraffazione del manganello. Lui è lì in quel maledetto bugigattolo a lavorare e finché è lì, tutti sanno che è lì. Il "Don" (si perché tutti mettono il "Don" davanti al suo nome, in segno di rispetto, senza che nessuno lo abbia mai chiesto) è lì e tanto basta. Non si è piegato e non ha preso la tessera e questo per adesso basta, finché non si piega il "Don" si può ancora essere uomini, finché tiene la testa alta lui, la tiene alta anche per altri, ne basta uno, uno soltanto, in tempi come questi almeno uno e tengono anche gli altri. E i signorotti lo sanno questo e lo odiano e vorrebbero che  invece del solo olio di ricino gli sbirri lo massacrassero a quel bastardo, gli facessero sputare le costole come hanno fatto con quel comunista del fratello, quella testa calda al confino. Ma gli sbirri ne hanno già fatte troppe di porcate e non se la sentono di farne altre, non con quest'uomo. E allora gli allungano il bicchiere e basta.

Tre giorni di dolori allo stomaco, viaggio tra letto e cesso, tre giorni di mancato guadagno. Per tutta la vita il bisnonno vivrà sul filo della povertà. Per tutta la vita lavorerà d'inverno con la giacchetta sulle spalle, per quel freddo nelle ossa che non lo abbandona mai.

E il pazzoide non è poi così male in fondo, vive con loro ma non chiede nulla, lavora e paga la sua parte, mantiene la sua famiglia. E' un chiodino ma di ferro. E quando la ragazza rischia di morire e sviene, il marito la solleva come un fuscello, come se avesse le braccia di Sansone, e prima che lui possa riprendersi il ragazzo è già uscito fuori con lei in braccio, a  cercare aiuto. E quando muore il loro primo bambino, quel bimbo meraviglioso, non trova le parole per consolarli. Lei perderà per sempre una parte di sé, il pazzoide cercherà per tutta la vita qualcuno da poter chiamare "figlio" senza mai trovarlo, sempre deluso. Avranno tre figlie, nessun maschio. Ma cosa possono saperne loro, sono giovani, lui ha perso otto figli. Lui è stanco, e la guerra non finisce mai.

Anche la secondogenita è prossima alla morte, è vivace ma rifiuta il latte, non riesce ad inghiottirlo, il medico ha detto che se non mangia morirà. E' lì su una sedia che gioca, anche con lo stomaco vuoto non piange, non si lamenta e gioca, mentre tutti la guardano, aspettando. Non hanno più lacrime, le hanno già consumate per il fratellino più grande. Sono stanchi e sconfitti, aspettano. E la bambina gioca sulla sedia, e c'è un piatto di pasta ditalini sul tavolo e chissà come lei si sporge e infila una mano in quel piatto e in quel piccolo mignolo di quella tenera manina si infila la pasta, come un anello, e lei se la porta in bocca e la mangia. E il colosso scatta verso l'alto, e guarda la bambina e tutti che non si sono accorti della scena la guardano e vedono che ha apprezzato il gusto della pasta, altro che latte!, e ne vuole ancora, sempre ridendo e giocando, e allora esclama sicuro di sé: "Basta, non muore più!". Se l'ha detto il "Don" c'è da crederci, la bambina si salva.

Una buona notizia, almeno quella. Lettere dal fratello, arrivate clandestinamente, chissà come le ha nascoste, chissà come sono arrivate, ma è ancora vivo. Botte, percosse, freddo, malattie, fame, disprezzo, e lui testardo che ad ogni colpo diventa sempre più comunista, più convinto, più gli spaccano il corpo più forte gli diventa lo spirito, avrebbero dovuto fiaccarlo ma ormai non ha più niente da perdere, il suo odio lo tiene in vita, vuole vivere per fare un dispetto al fascio, al duce e a quel fottuto mondo intero che l'ha chiuso lì dentro. Non è saggio come il fratello, non ha il suo carisma nè la sua autorità, ha solo sé stesso su cui contare e la sua folle, stupida, infantile convinzione che il comunismo è un bene. Non spera più che si possa vincere, non crede che un giorno vedrà davvero il sol dell'avvenire, ma se deve morire vuole morire in piedi come un uomo, come un comunista dice lui, non strisciando come un verme. E giù botte. Proprio non è diplomatico.

Poi un giorno l'incubo finisce, si vota la Repubblica, tornano i partiti, si cercano capi. Finalmente il bisnonno non beve più olio di ricino. Però è invecchiato, stanco, lavora di giorno e di notte, nel suo laboratorio con la giacchetta, si fa bottega, e gli chiedono di mettersi a capo del Partito, dei socialisti. E lui accetta. Sua moglie che vede più lontano di lui capisce che è un errore ma non dice nulla. Il marito ci crede ancora. Nonostante tutto, ci crede ancora. E lei gli da una mano. Giorni sottratti al lavoro, l'attività politica, i comizi, le liste, l'elezione a sindaco quando ancora era una carica onoraria e nessuno ti pagava. Tutto questo sottratto a te stesso e ai tuoi figli. Tutto gettato via in nome di qualcosa che oggi non si riesce più a definire, è come un animale preistorico, non esiste più.

E i due fratelli si riabbracciano e uno è comunista, l’altro socialista, e litigano, e prendono il caffè insieme, e parlano di politica, e chissà come sopravvive il fratello con tutte quelle ferite e senza mezzi di sostentamento, e sta ancora in piedi, stringe i denti, quel comunista figlio di puttana, non lo piegheranno mai.

Una raccolta fondi per il partito, ma tu sei sindaco povero stronzo, non puoi raccogliere i soldi per il partito, altrimenti ti accusano di appropriazione. E infatti lo accusano e va sotto processo. E ancora ripensa a suo padre, se solo lo avesse mandato a scuola. Forse ci pensa anche quando sul palco, davanti ad una fiumana di persone venute ad ascoltarlo, non riesce a trovare le parole in italiano corretto e allora improvvisa, mischia il dialetto alla lingua ufficiale e s'inventa le parole, s'infervora, porta migliaia di voti e continua a vincere le elezioni. Perdendo altre giornate di lavoro. La moglie muore. Si risposa. Non è un uomo capace di stare da solo, non sa come fare, in vita sua ha solo lavorato. Lavorato e tenuto i compagni fuori dai guai. Lavorato e rimasto in piedi mentre il resto del mondo veniva inghiottito dalla follia del fascio. Quando il fascio è finito la gente non sapeva più cosa fare, cosa pensare, come vivere. Alcuni hanno fatto quello che da sempre era la loro vita: rubare, mentire, violare. Altri hanno guardato quelli come lui, che avevano mantenuto la rotta senza smarrire la bussola. Seguendolo sono usciti fuori da quell'inferno di tenebre.

Però. Però quelli del fascio sono ancora lì. Gli alleati li hanno mantenuti ai loro posti per convenienza. Il controllo della regione è troppo importante. E lo odiano come prima. E comandano ancora. In modo diverso, ma comandano ancora. Non ci sono vendette né regolamenti di conto in quelle terre. Sì lotta ancora, in modo diverso, ma ancora con le armi.  Per la terra, la dignità, il lavoro, la libertà. Aspramente, duramente. Il popolo minuto vuole combattere, gli sgherri dei potenti iniziano a sparare.

Il “Don” morì a ottanta e rotti anni. Non ebbe mai la pensione, lavorò fino all'ultimo. Mantenne anche la sua nuova famiglia e i figli della nuova moglie, una vedova che aveva già altri figli. Quando morì arrivò una delegazione dalla sede centrale del partito socialista, a Roma. Non ci fu pace neanche quel giorno, scoppiarono tumulti tra chi voleva venisse posta la bandiera del partito socialista sulla sua tomba e i cattolici capeggiati dal genero catto-fascista che si oppose con la forza. Ma che importava a quel punto, era l'uomo che stavano omaggiando, non la bandiera. Sono gli uomini che fanno una bandiera, non una bandiera gli uomini.

Un nobel non gliel'hanno mai dato. La pensione men che meno. Sono rimasti solo i ricordi, tramandati attraverso la memoria, frammenti che servono a ricostruire una storia. Una storia e una via. Una via in un paese gliel'hanno dedicata. Una tomba con una foto. La foto di un gigante.

Non mi piace Luswig Quite, non mi ispira niente.



Giro il mio premio ai seguenti blog, come già scritto trovate il regolamento qui. Ringrazio gli autori per la compagnia che mi tengono le loro storie, i loro desideri, i loro progetti, i loro successi, i loro errori.




In bocca al lupo.


“Soli veniamo al mondo e soli ce ne andiamo.

Ma il tempo che trascorriamo su questa terra vale la pena di dividerlo con gli altri.”

X-men, la morte di Ilyana Rasputin

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mercoledì 18 maggio 2011

NON-OBIETTIVI - PARTE QUARTA




"Se hai già scelto la tua via non dovresti più cercare altrove."

Hagakure, libro 1, passo 140


Vi invito anzitutto a leggere qui il bel post di Patty che illustra l'inutilità del raggiungere obiettivi per essere felici (anche se non so quanto Lei stessa ne sia consapevole). E riporto il contenuto di un commento del post precedente, un po’ modificato. Ho deciso di dargli spazio:

Mi convinco sempre più che ciò che chiamiamo obiettivo è un autoinganno per costringere la mente reattiva a fare una cosa, a prestare attenzione. Se prestassimo attenzione non ci sarebbe bisogno dell’obiettivo. Faremmo le cose con naturalezza, selezionando quelle veramente importanti ed escludendo le altre. Sopraggiunge invece la distrazione, le troppe cose, la confusione.

L'obiettivo nasce quando non hai la lucidità mentale per permettere a mente di svolgere l’azione con naturalezza. Hai soffocato mente di pensieri, speranze, progetti, attività, desideri. Adesso devi costringerla a prestare attenzione a cose, attività, azioni, che in uno stato naturale realizzerebbe semplicemente, con naturalezza.

Prova ne è che l'obiettivo termina quando mente l'ha inserito nella sua routine. A quel punto è divenuto tutto semplice, naturale, l'azione si svolge fluida, senza attriti, e il risultato arriva puntuale. Non c'è più sforzo. Una madre costringe il figlio ad alzarsi presto solo finché non riesce a farlo da solo, non prende l’abitudine. A quel punto la forzatura, l’obiettivo non sono più necessari.


“Di certo esiste solo il particolare del momento presente.

Tutta la vita è fatta di attimi che si susseguono.

Compresa questa regola non porti altri scopi né manifestare impazienza.

L’esistenza scorre semplicemente.

Non pensare sempre che esista qualcosa di più importante.”

Hagakure, libro II passo 89


Il problema è che invece di liberare mente e lasciarle realizzare il suo innato programma vitale, noi prima la imbrigliamo, la sommergiamo, poi la tiriamo fuori e le diamo una direzione... che avrebbe preso comunque se fosse stata lasciata in santa pace! L'obiettivo è la maschera che nasconde la sfiducia in noi stessi, in mente. E' la medicina che abbiamo trovato (costrizione) dopo aver trascurato il giardino dei nostri pensieri e lasciato che marcisse. Avere un obiettivo, in questo senso, è lo stesso sintomo di una sconfitta. E' lo psicofarmaco.

Purtroppo, non basta la consapevolezza per ritrovare la lucidità e la libertà necessaria che consenta a mente di reagire autonomamente. Lo psicofarmaco (obiettivo) ci serve per fare piazza pulita in modo goffo e approssimato,  ma qualcosa fa: invece di liberare la mente da tutte le follie inutili che la divorano, la costringe a "liberarsi" guardando solo due o tre cose (obiettivo, concentrazione), convinti che la protesi che stiamo utilizzando sia in realtà l'arto vero, la gamba.

Ma l'arto è atrofizzato. La protesi potrebbe dare sollievo temporaneo. Ma l'obiettivo, proprio come il farmaco, può aver senso per curare la crisi acuta, cura ma non guarisce, sicuramente ha controindicazioni e genera malattie iatrogene (indotte da farmaco). L'obiettivo deve essere preso e gettato subito, se non si vuole morirne: o l'azione entra nella routine in modo semplice, spontaneo e naturale, senza pensieri né forzature, oppure la costrizione farà cancrena.


"L’addestramento non finisce mai."

Hagakure, libro 1, passo 139


In psicologia applicata si usa dire che la ripetizione di un comportamento diventa abitudine dopo ventuno giorni. Ho fatto i test su me stesso:  ne ho bisogno ventotto. Se un obiettivo rimane nella mia mente più di trenta, senza diventare abitudine, routine, azione svolta senza pensiero, l’obiettivo stesso mi avvelenerà, diverrà ossessione. L’azione, che genera l’obiettivo, dovrà entrare stabilmente nella mia vita, oppure dovrà uscirne. Altrimenti io rimarrò scisso tra la mia situazione e la mia aspirazione. E in quella situazione è impossibile essere felici.


Chi ha molti obiettivi non è più felice di chi non ne ha.


Chi con semplicità compie l’azione che genera l’obiettivo, è in pace. Ma rimane in pace sia che raggiunga l’obiettivo sia che non lo raggiunga. Perché in quello stato, non è più importante il futuro, il raggiungimento, la vetta. Ciò che conta, in quello stato di pieno assorbimento in ciò che si fa è l’azione stessa del fare.

Realizzi non perché hai un obiettivo, ma per l’amore che hai per quel gesto, azione, è la tua danza con la vitaRaggiungi il successo non perché hai fissato l’obiettivo, ma perché hai compiuto l’azione necessaria, perché hai danzatoNon si può compiere l’azione senza conseguire l’obiettivo. E’ facile invece programmare obiettivi senza mai compiere alcuna valida azione. E vivere di speranze deluse, sogni, illusioni.


Se ami l’obiettivo e non ami l’azione necessaria hai già perso.

Se ami l’azione, puoi fare a meno dell’obiettivo. Se svolta con intelligenza, l’azione darà frutto.


Inserisco adesso il mio secondo non-obiettivo (nel senso del post). Il precedente verteva sul lavoro. Questo sulla salute e sul benessere. Ho riunito tre azioni, da completare in un mese: esercizio fisico, niente nuovi dolci, Ubuntu.

Ubuntu è il sistema operativo che voglio installare alternativo a windows che mi sta logorando i nervi per quanto è lento sul mio vecchio portatile. Potrei cambiare macchina, ma è ancora un buon sistema, e non voglio. In un mese voglio installarlo e impararne le basi, usarlo in alternativa a windows, dovrebbe semplificare molto il lavoro e i tempi di permanenza davanti a quella maledetta clessidra che gira!

Nessun acquisto di dolci fino a tutto giugno 2011: consumo lentamente quelli che ho già, molto lentamente! Sono convinto che lo zucchero raffinato sia un veleno e me ne hanno regalato quintali tra biscotti, cioccolati, colombe, a cui non ho saputo dire di no. Ma non è una buona cosa, mi fanno invecchiare tutti gli organi e venire il mal di testa. Inizio con il limitarne l’acquisto.

Sarò costretto a riprendere la mia abitudine di cucinarmi da solo le torte in casa con la macchina del pane, abitudine che ho tralasciato nella fase di trasloco nella nuova casa. Va bene così. Poi quando acquisto il forno potrò sbizzarrirmi con la pasticceria con miele e altri dolcificanti naturali al posto di quella schifezza.

Esercizio fisico:  ogni settimana 45 minuti di piscina, tre sedute di stretching  da almeno 45 minuti, flessioni ogni mattina per almeno cinque mattine a settimana.

Sono cose per me semplici ma che continuo a trascurare. Chissà se l’aiuto di Patty ed Alberto possono aiutarmi? Il gioco degli obiettivi è nato per questo. Finora, spensieratamente, sono stati realizzati tutti.



“Le questioni gravi vanno trattate con leggerezza. Quelle meno gravi con serietà.”

Hagakure, libro I passo 46

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venerdì 6 maggio 2011

NON-OBIETTIVI - PARTE TERZA



Per quanto assurdo io cerchi di rendere il fumetto non sono in grado di competere con quello che la gente sperimenta sul posto di lavoro.

Scott Adams (scrittore, fumettista, consulente aziendale).


Il mio primo obiettivo: sul lavoro.


Entrare ogni mattina 45 minuti prima. Fare lo stronzo con due stronze. Creare inefficienza.


Spiegazione: sono obiettivi strategici. Lo scopo è di vivere la routine nel miglior modo possibile e di preservarla. Tutti vogliono gettare la loro, io alla mia sono affezionato. Mi piace. Mi diverto. Vedo lontano. Ovvero comprendo che è lei a creare un flusso di reddito che mi permette di progredire, cambiare, fare le stesse cose con meno fatica, divertirmi di più. Che dire, sono felicemente conservatore.

Non che manchino i problemi, il senso di vuoto a volte. Però comprendo che non diviene dal lavoro che svolgo, dalle aspirazioni frustrate, dal mio contratto da precario… Il vuoto ce l’ho dentro. La paura è il mio nemico, non il lavoro. La routine è anzi colei che mi protegge da un mondo che non è lì pronto a farmi felice se cambio il mio modo di essere e di lavorare.

Il posto di lavoro non è lì per opprimermi. E’ al mio servizio. Assicura il flusso di reddito necessario a soddisfare il mio piacere di vivere. Ma non è lì che mi realizzo, affatto. Fornisce solo i mezzi. Se poi non sono in grado di realizzarmi fuori, non è colpa del lavoro. Il lavoro è quello che è: maledizione data ad Adamo. Inutile aspettarsi la felicità in esso. Non è lì per quello, non è suo compito, come già sapevano anche gli antichi greci. Il lavoro è roba da schiavi, si sa. Ma può essere accettato? Fuori dal lavoro è possibile essere felici grazie all’accettazione di esso?

Scompongo e spiego il mio primo obiettivo. Lo considero unico (lavoro) anche se composto da tre componenti facilmente accessibili (mi piace vincere facile).

Entrare 45 minuti prima (orario flessibile). Perché? Entro prima, esco prima, mi godo il sole e la bella giornata, vado al parco, a correre, respiro. L’estate è bella, mi rallegra, mi rende felice. E poi, dopo le 16.30 la mia concentrazione decresce, meglio uscire presto. Gli ultimi trenta minuti saranno dedicati alla decompressione (cazzeggio strategico) per vivere sereno il resto della giornata.


Fare lo stronzo con due stronze. Perché? Ci sono persone che sono negative. E’ vero, si dovrebbero ignorare. Ma non basta. Loro ti stanno addosso, ovunque. Allora occorre porre la scure alla radice ed eliminare il problema. Magari è difficile quando si vive in un open space e si deve “far squadra” per soddisfare i superiori. Cosa conta di più la mia serenità o l’opinione del superiore? Non mercanteggio, taglio. Rispondo alle domande con un grugnito. Se è qualcosa che so, spiego, solo una volta, la seconda sbuffo. Voce ferma. Altrimenti rispondo “non lo so, chiedi al capo”.


"Non tratto con gli stronzi. Motivo: la vita è breve."

Dal libro “Il metodo antistronzi”


Saluto, non scambio altre parole, non mi mostro ostile ma non nascondo il disprezzo, chiamo per cognome e mai per nome. L’ho già fatto, funziona sempre. E’ difficile romperti le ball quando fai sentire tutto il tuo disprezzo. E’ come se togliessi la barriera di “buone maniere”. Se qualcuno (che vuoi tenere alla larga) interloquisce con te in presenza di altri, tutti sentiranno il tuo disprezzo. E questo non piace. Ci vuole carattere e un po’ di rischio ma i risultati sono garantiti. Ho scelto due stronze appunto. Liberandomi di loro il sole splenderà un po’ di più.


Creare inefficienza.


Nelle aziende siamo numeri. Le aziende tagliano i posti di lavoro. L’utilità di una persona non viene riconosciuta, a meno di relazioni particolari. Si parla di sistema premiante. Forse a livello di principio come può essere una regola concordata coi sindacati o un CCNL. In realtà, fuori dagli schemi non esistiamo. Ognuno pensa ai suoi interessi non ai tuoi. Devi cavartela da solo.

Meglio vanno le cose più diventi sostituibile. Meglio il sistema aziendale è oliato, meno è importante il singolo. Più l’informazione è condivisa, meno potere ha il singolo. Possono cacciarti e sostituirti, disprezzarti. Anche se tieni tu in piedi la baracca nessuno se ne accorge, perché con te appostato non ci sono mai problemi. Tu risolvi tutto, sei ovunque, copri i buchi del sistema. Così nessuno vede i buchi, le inefficienze del processo da un milione di euro, che non è perfetto, sei tu che lo fai andare, col tuo lavoro. Che nessuno più conosce, né riconosce. Ricevi vaghi apprezzamenti mentre il tuo capo pensa già ad altro, al prossimo impegno, alla sua promozione, ai suoi appuntamenti.


Perché tutto questo? Perché hai creato efficienza.


Sei un ottimo lavoratore ma un pessimo imprenditore di te stesso. Se tu aprissi un’azienda fallirebbe poco tempo dopo. Faresti arricchire gli altri e impoverire te stesso. Come forse fai adesso. Crea inefficienza. E’ facile. Moralmente ineccepibile in quanto non dovrai organizzare alcun sabotaggio, nessun gesto riprovevole, anzi riceverai maggiori apprezzamenti.


Come fare? Come un militare: esegui gli ordini. Esegui gli ordini e basta.

Non giudicare l’operato dei capi. Non prenderti responsabilità non tue. Non sentirti coinvolto nel gioco dei soldi se non entrano nelle tue tasche. Raggiungi i risultati ma non spiegare come fai, non divulgare i tuoi metodi. 


Naturalmente devi farlo solo in un azienda che presenta le caratteristiche di cui ho parlato. Se sei in un ambito in cui il tuo valore viene riconosciuto, tu sei una persona e non un numero e l’intraprendenza viene davvero premiata, beato te, non farlo. Ma se ti trovi invischiato in una qualche forma burocratica, allora devi farlo: esegui gli ordini e basta.

Cosa succederà?

I gerarchi nazisti erano una manica di folli, depravati, lussuriosi, abituati al lusso e alla bella vita, qualcuno drogato. Eppure la macchina militare e di persecuzione anti-ebraica era efficiente e implacabile. Come mai? Perché lo zelo tedesco copriva tutte le pecche. Ogni singolo individuo non si limitava a svolgere il suo compito, ma copriva col suo lavoro tutte le sbavature, le imperfezioni, i buchi di responsabilità. Ognuno ci metteva del suo.

E’ così che funzionano davvero le organizzazioni: il piano non conta niente. Se hai gente preparata, motivata, pronta al sacrificio, qualunque straccio di piano avrà successo. Se la gente non è motivata e si limita ad eseguire gli ordini, basterà una responsabilità non ben definita per inceppare il sistema. Bene, fai inceppare il sistema. Fai solo il tuo, segui le procedure, segui gli ordini, di sempre di sì al tuo capo, non contraddirlo mai. Digli sempre lo farò subito, anche se ti accorgi che ne uscirà fuori un disastro.


Il mondo è un’assurda impresa gigantesca, popolata da gente che sgobba ogni minuto della sua vita per razionalizzare le stupidaggini che è costretta a fare.

Scott Adams


Fai in modo che davanti al grosso problema, tu sia cercato per metterlo a posto. Solo in quel caso tu sarai necessario, ci si accorgerà che tu sei uno stronzo utile piuttosto che uno stronzo inutile. Alla fine, nelle organizzazioni, per i capi, sarai comunque uno stronzo lavativo che “se sei sotto di lui e non sopra qualche ragione ci sarà”. Loro sono lì per merito, tu sei lì perché lì puoi sperare di arrivare. E’ il pensiero corrente. Che condividiamo un po’ tutti, se non altro nell’indifferenza in cui vediamo laureati rumeni fare i lavori più sporchi e mal retribuiti. Potrà dispiacerci e ce ne dimentichiamo un attimo dopo, presi dai nostri problemi.


Per il tuo capo è lo stesso: è preso dai suoi bisogni, non dai tuoi.


Sei tu che devi ricordargli che sei utile. Come? Generando inefficienza. Segui le disposizioni e lascia che gli errori si manifestino. Il tuo capo per paradosso ti apprezzerà di più: a nessuno piace essere messo sull’avviso che la sua idea non è una buona idea; a nessuno piace il ritardo nell’applicare le proprie decisioni, anche le più folli.

Una grande industria automobilistica sfornava prodotti funzionali ma non all’altezza, non di qualità elevata insomma. Inoltre il reparto marketing rispondeva unicamente alla casa madre e non teneva conto del mercato locale. Un manager, direttore marketing della Spagna si permise di dirlo. Licenziato.

Un altro era fedelissimo della casa madre, un ex militare che non capiva niente di auto, di marketing, di mercato. Non era laureato, aveva modi rozzi, approvava tutto quello che proveniva dall’alto, sorvegliava la minima interpretazione di dissenso riguardo la politica globale dell’azienda e l’applicazione della sua visione ai vari mercati nazionali. Non era stimato, ma utile. L’azienda andava male. Lui venne promosso.

E’ questo il mondo in cui viviamo. Se non vuoi uscirne, e non vuoi impazzire, ti basterà non opporti alle sue regole. Dare a Cesare quello che è di Cesare, e tenersi il resto, Dio, sé stessi. Non c’è bisogno di vendersi, basta che rinunci alle tue opinioni, riconoscendole per quello che sono nell’ambito della Grande Organizzazione: inutili, non richieste, non necessarie. Anche quando vengono espressamente richieste, in realtà si vuole approvazione. Se invece si chiedono in modo sincero pareri, suggerimenti, opinioni, allora è peggio di peggio!


"Sul lavoro ho poche idee e nessuna che funzioni.

Ma se avessi delle buone idee il merito andrebbe comunque al mio capo."

Exodus


Prima di dare un contributo, accertati di averne un vantaggio. Altrimenti fingi soltanto di darlo, ma tieni le carte in mano tu. Sii imprenditore di te stesso e non servo. Altrimenti gioca sul sicuro ed esegui gli ordini. Lasceranno lì i problemi aspettando che qualcuno li risolva. E’ questo il loro gioco: “lascia lì e vedrai che qualcuno di quegli esseri che si trovano sotto risolverà il problema, non riusciranno a lasciarlo lì. La paura di quello che può succedere si impadronirà di loro e qualcuno risolverà quelle cose di cui ci prendiamo il merito ma di cui noi stessi non comprendiamo granchè. A quel punto noi sapremo quale asino possiamo caricare e tutto andrà a posto: quel lavoro lo assegneremo a lui”. Questo pensano.


"L’asino che lavora è sempre carico."

Proverbio


Per diventare capi nelle grandi organizzazioni occorre essere stronzi e far lavorare gli altri. Occorre avere sangue freddo. Spesso il sangue freddo consiste nel non fare niente e lasciare che le cose si risolvano da sole. E se non si risolvono, trovare la scappatoia adatta per giustificarsi, scaricare la responsabilità su altri uffici. In un sistema burocratizzato non è difficile, il lavoro viene così ripartito che diventa impossibile attribuire una precisa responsabilità ad un unico centro.

Anche tu dovrai avere sangue freddo e carattere per fare ciò che viene richiesto: trovare il pacco in mezzo alla stanza e lasciarlo lì. Non risolvere problemi, non prendersi responsabilità, fare il tuo. Sembra facile? Sei sicuro? Sicuro che lanciarsi a risolvere problemi premi di più che non farlo?

Attenzione: per me è importante svolgere un lavoro onesto. Onesto vuol dire fare bene quello che mi si chiede di fare. Se mi concentro su quello, in qualunque organizzazione, sarò un elemento utile e apprezzato. Deve anche essere un lavoro moralmente ineccepibile, altrimenti non dormirei la notte e dovrei cambiarlo.

La verità è che il modello di scambio industriale moderno non diverge da quello medioevale dello “scambio minimo”: il signorotto assegnava al contadino e alla sua famiglia quel minimo che gli bastava per vivere (e non doversi quindi cercare altra manodopera). Il contadino garantiva al signorotto il minimo possibile del suo lavoro. Su questa base, entrambi davano il minimo e rimaneva a ciascuno molto tempo per dedicarsi il signorotto ai lussi del suo rango, il contadino ad un po' di pesca e di caccia che integrassero la sua dieta, o a quello che la stagione e il suo contatto con la natura gli suggeriva.

Non esisteva il concetto della conservazione moderna in quanto non se ne possedevano i mezzi tecnici né della rivendita del surplus ai mercati, in quanto l'epoca capitalista sarebbe arrivata in seguito. Ognuno produceva ciò che gli serviva e si dedicava ad altro.

Oggi, nell'ambito del lavoro, a meno di non seguire un capo carismatico ed illuminato, il processo dello “scambio minimo” si ripete. In una situazione di scambio equo, i capi concedono il minimo a cui sono tenuti, il dipendente cerca di fare del suo meglio per dare il minimo facendolo sembrare il massimo. Quindi, se non state lavorando per un trascinatore di folle come Mao Tze Tung o Gandhi, lasciate perdere e fate come il contadino medioevale. Sta poi ad ognuno trovare il giusto equilibrio tra quello che riceve e quello che da. Solo in questo modo non proverà l'amarezza di sentirsi derubato, l'umiliazione. Non illudetevi, lo scambio industriale salario-lavoro è questo.


L’efficienza distrugge posti di lavoro, l’inefficienza li crea.

Se tutto fosse semplice ed efficiente i manager sostituirebbero le persone, il costo numero uno, con un pulsante da premere.


Ripeto l’obiettivo:


Entrare ogni mattina 45 minuti prima. Fare lo stronzo con due stronze. Creare inefficienza.


Caratteristiche dell’obiettivo:

Applicabilità: semplice. Valore aggiunto: alto. Grado di soddisfazione una volta raggiunto: medio-alto. Tempo: 1 mese.

Misurabilità: semplice. Le entrate al lavoro vengono registrate, farò una media per vedere se sono entrato 45 minuti prima. Ogni volta che trasgredisco all’essere stronzo con le stronze lo segno, non devo superare 4 volte al mese (rivolgere la parola senza essere interpellato è già trasgressione). Ogni volta che segnalo qualcosa di non richiesto, svolgo un compito non mio, m’impegno in un affare non richiesto è una trasgressione al mio generare inefficienza, non devo superare 4 volte al mese.

Risorse necessarie per raggiungerlo: molto semplici da reperire. Indispensabili però carattere, volontà, indifferenza al sistema, andare a letto 45 minuti prima o rinviare attività mattutine alla sera. E se posso disporre dell’attenzione di Patty ed Alberto, la mia concentrazione aumenterà, rendendo tutto ancora più semplice. Cosa ne dite, riuscirò a centrare l’obiettivo?


Formatore è è uno che ti consiglia di fare qualunque cosa non venga fatta attualmente.

È difficile trovarne uno che ti consiglia di mantenere le cose come stanno e di smetterla di sprecare tempo e soldi con i Formatori.”

Exodus


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