Prima di continuare, leggete qui il premio che mi ha dato SARA (grazie!). Leggete o non si capisce poi...
Bene, tutto facile no? Lei s'è beccata la città in Brasile, bene, "che bella cosa dico io, che bel gioco...". E provo anch'io. Però a me non esce una bella o brutta città europea, indiana o vichinga, non esce una farfalla esotica o una bestia preistorica, una battaglia famosa piena di sangue e furore o una pagina conosciuta o misconosciuta della storia mondiale.
No, a me esce... Ludwig Quidde.
Già appena apro la pagina scopro che qualcosa mi fuma tra le gambe, vicino al bacino e mi sento preso in trappola. Il mio ottimo e gioviale carattere torna a farsi sentire e controllo dietro il video se qualcuno ha truccato Wikipedia: non può esserci per me uno più perfettamente sconosciuto di Ludwig Quidde. C'era un Ludwig, quello del film di Visconti interpretato da Helmut Berger, ma mi sa che non è lui. Ho un ottima memoria, se il nome non mi dice niente, so già che si tratta di qualche pagina oscura di cui non so proprio niente, non ho mai sentito niente, né neppure letto qualche avvenimento collegato. Infatti, è così.
Torno sul blog di Sara cercando di capire cosa devo fare adesso, come comportarmi. Sì perché sto' Ludwig Quide non m'ispira alcun sentimento, né positivo né negativo, né carne né pesce, né caldo né freddo. Rivedo nella mia mente la foto sorridente di Sara ed è come se m'avesse preparato uno scherzo. Riuscito. Sono in difficoltà.
Poi leggo che è stato Nobel per la pace. "Minchia!" penso (scusate, noi siciliani pensiamo così con la min..., no scusate, non c'entra neanche questo, diciamo che pensiamo e basta). Vediamo, sarà interessante, anche se la pagina non è lunga, gli avranno dato il Nobel per qualche motivo, vediamo che ha fatto:
Storico e politico tedesco, Nobel nel 1927. Di famiglia ricca, cazzeggiava all'università, laurea in storia, non divenne mai storico perché non aveva bisogno di lavorare. Mah, non mi sembra granché. Scrive un libello che fa incaxx l'imperatore, rischia grosso, se la cava per il rotto della cuffia in tribunale, e si da alla politica. Che bella vita, dico non c' ha proprio un 'azz da fare questo. Crea un partito antimilitarista e antiprussiano. Diventa portavoce della Germania, una politica di pace e tolleranza tra i popoli, Nobel, poi arriva Hitler e deve sloggiare. Muore in esilio a Ginevra.
Ricontrollo le regole del gioco da Sara: "vietato fare due volte clic sul link di "una voce a caso".
Mah... Allora cerchiamo qualche assonanza nella mia memoria:
Politica, sì politica, allora mio bisnonno. Premetto che tutta la mia famiglia ha masticato politica. Mio bisnonno era un gigantone di più di un metro e ottanta che per quei tempi erano tanti. Perde il libro di scuola e suo padre non ce lo manda più per non ricomprarlo. Così un leader nato e capo carismatico per tutta la vita avrà problemi con l'italiano e a scrivere correttamente. Ogni volta che incontra l'ostacolo, che non riesce ad esprimersi come vorrebbe, ripensa al padre che l'ha tolto da scuola. Partecipa alla prima guerra mondiale, la guerra di trincea, si riempie di freddo ed umido, per tutta la vita sentirà il freddo nelle ossa. Caporetto, una disfatta, siciliani in fuga lontano da casa, gli abitanti dei luoghi li nascondono dagli austriaci e loro ricambiano violentandogli mogli e figlie, ridendo, li derubano del poco che hanno. Mio bisnonno urla, si indigna ma non può fare niente contro quella mandria di bestie che rispondono incuranti "E allora? Fa niente". Credo che quel giorno abbia perso per sempre molte illusioni sulla natura umana, e ancor più sui suoi stessi conterranei.
Torna coi polmoni danneggiati da quel porcile in cui ha vissuto per anni. D'altronde se mettevi la testa fuori le mitragliatrici ti falciavano via, e dovevi stare ben chiuso nel fosso. Svolge il mestiere di calzolaio, lo fa bene, si sposa con una brava donna intelligente. Lui per quei tempi è un uomo moderno ed evoluto, sua moglie partorisce lo stesso tredici volte. Cinque figli superstiti, il resto muore alla nascita o in fasce. Lavora sempre, giorno e notte per mantenere la sua famiglia. Ha ideali di pace e piccola proprietà, pane per tutti e basta con le guerre, ha avuto la sua parte, non vuole rivedere più quegli orrori.
Il cielo sembra ascoltarlo e manda Mussolini. Quando si dice la sfiga. E' un giovane leader del giovane partito socialista, il fratello invece è un comunista acceso. Il fratello finisce subito al confino, al gulag pieno di malati, botte, e caporioni. Dato che sono una famiglia forte, sopravviverà a tutto, seppur con la salute gravemente compromessa. Sarà ancora lì quando il duce giace ormai a testa in giù a piazzale Loreto. Grande soddisfazione.
Lo chiamano i carabinieri e gli chiedono di prendere la tessera del partito. Mio bisnonno risponde che lui è un semplice calzolaio e non può prendere la tessera perché non avrebbe tempo di dedicarsi al fascio. Dato che è un omone grande, grosso, ma soprattutto rispettato, non lo picchiano come fanno con gli altri. Ogni mese o due lo chiamano in caserma, gli mettono l'olio di ricino sul tavolo, mio bisnonno beve, torna a casa, transita per tre giorni dal letto al bagno e poi si rimette. Ha perso tre giornate di lavoro. Niente assicurazione, contributi pensione, malattia, la moglie sempre incinta che ha bisogno, i figli avviati presto ad una vita di duro lavoro con scarsa scolarizzazione ufficiale. Dico ufficiale perché i maschi sono una specie di geni che continuano a sbaragliare tutti nelle competizioni scolastiche, leggono una cosa una volta e gli rimane scolpita in testa, sono rapidi, intuitivi e straordinariamente... figli di puttana. Si cacciano sempre nei guai. E l'omone sospira, mentre continua ad intagliare le scarpe che a volte gli pagano con ceste di frutta, formaggi, salumi, niente, quello che c'è in un'economia di guerra.
Arrivano quelli del fascio e la mia bisnonna, donna intelligente e modesta, dice alla figlia, con una voce bassa, ironica e velata di rabbia "alzati che devo preparare il caffè a quei cornuti!". Perquisizioni, arriva il fascio e guardano ovunque, buttano tutto all'aria, sollevano le lenzuola del letto di una delle figlie che cerca di opporsi. Non ha volantini politici nascosti nel letto, ma il sangue delle prime mestruazioni. Una risata, alzata di spalle e via. Non riesco a provare tenerezza, quella bambina da adulta diverrà fascistoide e anticomunista. D'altronde sposerà un bestione cattolico-fascista, rissoso ma bravuomo in fondo. Ma divago...
Sì, solito, ogni mese o due chiamata in caserma, olio di ricino, tre giorni al cesso, povertà. Sospetti, perquisizioni, la fede d'oro di mia nonna alla patria, mio bisnonno che cerca di tenere i compagni socialisti fuori dai guai, tutti che guardano a lui come una guida saggia, lui non può fare niente per cambiare le cose, con un fratello al confino e otto bambini morti in fasce. E lavoro, tanto lavoro, giorni e notti di lavoro, fino a consumarsi le mani, gli occhi, stringendo i denti e andando avanti, un giorno alla volta, con due geni in casa che non andranno mai da nessuna parte perché rifiutano di andare a scuola e delle bambine strappate alla scuola anche loro perché senza il loro lavoro la famiglia non può sopravvivere.
Mi ricorda la canzone di Ligabue "una vita da mediano": "sempre lì, lì nel mezzo, finché ce n'hai stai lì". A sperare che qualcosa cambi, ad ascoltare "radio Londra", senza poterti muovere, senza poter fare niente. Ogni giorno a tirare la carretta di una situazione che sembra disperata, finché senti la voce nella scatoletta che ti racconta una strana storia, che Mussolini non è affatto invincibile e che infatti sta perdendo, e allora ti aggrappi a quella scatoletta con tutta la tua forza, con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore e speri, speri, speri che sia così e anche se non hai mai pregato speri che tua moglie lo faccia per te, per voi, per tutti, perché tu sei grande, grosso e goffo e non sapresti come fare. E i tuoi figli, quelle teste di c... che non capiscono quant'è importante la scuola, che non sono andati ancora in guerra perché troppo giovani, che almeno non hanno dovuto cibarsi di topi e carne di cane, e vedere uomini morti e donne violentate, senza poter fare niente per cambiare le cose.
E poi c'è quello strano apprendista che sembra tanto un testa di c... anche lui Anche se talentuoso non andrà mai da nessuna parte perché è un sognatore e perde un'ora di tempo su ogni cliente in quanto gli prende la misura di ogni piede per fare le scarpe perfette e poi produce la metà degli altri. E il cliente neanche si accorge della differenza, alla fine, non si può certo accorgere che quella che ha ai piedi non è una scarpa ma un'opera d'arte fatta su misura da un ragazzo innamorato del suo lavoro, uno che passa le serate a suonare gli strumenti musicali senza aver mai studiato musica, a intonare ballate, a preparare scherzi e ingenui intrallazzi, sempre al centro, sempre cercato e troppo sognatore per questo mondo concreto. No, uno così non gli piace, non diverrà mai un uomo serio e posato, in grado come lui di resistere alle bufere della vita e mantenere una famiglia numerosa. Ha ragione. Quel ragazzo sognatore non diverrà mai come lui. Il problema è che alla sua figlia più giovane questo non importa, visto che se ne innamora all'età di nove anni.
"Non t'innamorerai mica di lui, vero?" ripete la mia bisnonna.
"Certo che no!" risponde sdegnata la piccola.
Fuggono insieme quando lei ha sedici anni. Oddio, fuggire insieme vuol dire dormire una notte a casa di un parente che li chiude ognuno in una stanza e poi dorme nel corridoio. Non che ce ne sia bisogno, quella bambina non ha neanche l'idea di far avvicinare un uomo e il pazzoide sono anni che programma tutto per sposarla, visto che il padre di lei non vuole. E' uno stratega nato, ha fatto fuori tutti i pretendenti con un semplice accorgimento: si offre come intermediario, dato che lavora a casa del padre di lei, suggerisce un bel regalo da fare alla ragazza che gli porterà lui. All'epoca un bel regalo è un uovo, un fiore, cose così. Si fa rilasciare il regalo e lo porta alla ragazza come se fosse suo. Qualche sorriso, un complimento, un nuova fidanzata per farla ingelosire, tanto stare insieme nella casa laboratorio col bisnonno che forse subodora qualcosa o forse no, dato che è troppo stanco della sua lotta quotidiana e non ha le energie anche per combattere l'amore, oltre che la fame, la guerra, i pazzi al potere, e gli altri pazzi del suo partito che vogliono cacciarsi nei guai e rischiano di rovinare anche lui e la sua famiglia. Tra l'altro una figlia si è innamorata di un catto-fascistone. Mah, andiamo bene. Quand'è la prossima dose di olio di ricino?
Divago. Dicevo che il giovane si frega i regali dei pretendenti, li propone come suoi, conquista il cuore della ragazza, poi torna dai pretendenti e gli dice che il regalo è stato apprezzato ma che consiglia di portarne ancora, provvederà lui a recapitarli. Se qualcuno gli sta sulle balle o lo giudica pericoloso racconta che la ragazza ha detto di no, punto. Terra bruciata intorno alla sua preda, il lupacchiotto manovra. Ma tanto la bambina è cotta da quando lui per sbaglio le ha regalato una rosa. Proprio per sbaglio, era destinata ad un'altra col suo stesso nome. Lui l'ha chiesta indietro e la bambina è fuggita via con la rosa in mano, a testa china e trattenendo le lacrime, mortificata.
Porco mondo, c'è gente che studia per tutta la vita come conquistare una donna e il pazzoide ha fatto centro per sbaglio. Legati per tre quarti di secolo, finché morte non li separi. Le parole della “bambina” quando il suo uomo se n'è andato, settantacinque anni dopo, sono state: “Quant'è stupida la vita, non siamo più insieme”.
Dov'ero? Ah sì, la fujuta. dormono una notte a casa del parente, questa è la fujuta. L'indomani, ore sei del mattino c'è la messa e viene celebrato il matrimonio clandestino, con lei minorenne, non so quale espediente usano ma il prete sa tutto, il paese sa tutto, il padre di lei sa tutto, lei è uscita di casa restituendo al padre la sola cosa che era della sua casa, ovvero un fazzoletto, cosa volete che dica il padre, solleva le spalle e dice: "non posso farsi niente, è scappata con quel pazzo".
Una bella cerimonia matrimoniale, non c'era nessuno tranne sposo e testimoni, al buio per risparmiare, al freddo delle sei di mattina con un morto che era lì con la bara aperta, bene in vista, più tardi c'era il funerale. La ragazza cercava di non guardare la buonanima nella bara ma la situazione era un po' strana, il prete aveva fretta, il pazzoide non voleva confessarsi, stava anche transitando verso il comunismo, quello a modo suo tutto sogni e speranze, forse alla fine solo le lacrime della ragazzina l'hanno convinto: "Sì confessami, ti dico tutto, anzi fai tu, dimmi quello che vuoi sapere e sottoscrivo, però sbrighiamoci perché non vorrei che suo padre ci ripensa e arriva qui con i coltelli per il cuoio, anche perché lui è un colosso di uomo, io no e sono pure sottile, dai prete e sbrigati".
Anni dopo ancora rimuginava su quanto si fece pagare quel giorno il prete. La ragazza invece rimpiange ancora quello che doveva essere il giorno più bello della sua vita, celebrato al freddo, al buio, di fretta, senza nessuno e col morto vicino.
E il bisnonno tagliava cuoio, aspettava l'invito dei carabinieri e metteva incinta la moglie. Ci vuole pazienza.
E poi è circondato da gente che non capisce niente, a cominciare dalla moglie, quella donna alta, gentile, ma che proprio non sa misurare la pasta, ogni giorno, ogni santo giorno sbaglia e ne cucina troppa, si scusa e poi sbaglia di nuovo, e lui si infuria, capisce lei quanta fatica ci mette lui in quella pasta che lei butta, lo comprende?
E tu capisci, coglione, che i vicini hanno bambini affamati ancor più poveri di voi e lei la pasta non l'ha mai buttata ma gliela porta di nascosto? Capisci che sta portando la croce insieme a te, che segue ogni tuo capriccio perché è una donna saggia, che capisce tutto e fa finta di niente, che tiene unita la famiglia perché tu non ne saresti in grado, anche se lavori come un somaro di notte e di giorno? Capisci che quel pazzoide lei lo ama come un figlio perché gli è cresciuto in casa ma non può rivelarlo per non far ingelosire gli altri generi e le altre figlie? Capisci che lei ride quando vede i due giovani che per un periodo vivono insieme a voi, quando li vede giocare come bambini e farsi gli scherzi? Capisci che morirà a cinquant'anni di fatica, gravidanze, sacrifici. Che le sue ultime parole saranno per la figlia più piccola, quelle che se n'è fujuta ma che in quel momento è in Francia a cercare di guadagnare il pane insieme al marito, dirà semplicemente, credendo di vederla: "portate quella bambina a letto, non deve affaticarsi per me".
Ah, no, sono oltre. Questo è successo dopo. Prima c’è il bisnonno odiato dai signorotti del fascio che lo odiano perché con tutto il loro potere non potranno essere ciò che è lui: un capo nato, un punto di riferimento, la roccia di quella piccola resistenza che rifiuta di lasciarsi inghiottire dell'ideologia, dal male, dalla sopraffazione del manganello. Lui è lì in quel maledetto bugigattolo a lavorare e finché è lì, tutti sanno che è lì. Il "Don" (si perché tutti mettono il "Don" davanti al suo nome, in segno di rispetto, senza che nessuno lo abbia mai chiesto) è lì e tanto basta. Non si è piegato e non ha preso la tessera e questo per adesso basta, finché non si piega il "Don" si può ancora essere uomini, finché tiene la testa alta lui, la tiene alta anche per altri, ne basta uno, uno soltanto, in tempi come questi almeno uno e tengono anche gli altri. E i signorotti lo sanno questo e lo odiano e vorrebbero che invece del solo olio di ricino gli sbirri lo massacrassero a quel bastardo, gli facessero sputare le costole come hanno fatto con quel comunista del fratello, quella testa calda al confino. Ma gli sbirri ne hanno già fatte troppe di porcate e non se la sentono di farne altre, non con quest'uomo. E allora gli allungano il bicchiere e basta.
Tre giorni di dolori allo stomaco, viaggio tra letto e cesso, tre giorni di mancato guadagno. Per tutta la vita il bisnonno vivrà sul filo della povertà. Per tutta la vita lavorerà d'inverno con la giacchetta sulle spalle, per quel freddo nelle ossa che non lo abbandona mai.
E il pazzoide non è poi così male in fondo, vive con loro ma non chiede nulla, lavora e paga la sua parte, mantiene la sua famiglia. E' un chiodino ma di ferro. E quando la ragazza rischia di morire e sviene, il marito la solleva come un fuscello, come se avesse le braccia di Sansone, e prima che lui possa riprendersi il ragazzo è già uscito fuori con lei in braccio, a cercare aiuto. E quando muore il loro primo bambino, quel bimbo meraviglioso, non trova le parole per consolarli. Lei perderà per sempre una parte di sé, il pazzoide cercherà per tutta la vita qualcuno da poter chiamare "figlio" senza mai trovarlo, sempre deluso. Avranno tre figlie, nessun maschio. Ma cosa possono saperne loro, sono giovani, lui ha perso otto figli. Lui è stanco, e la guerra non finisce mai.
Anche la secondogenita è prossima alla morte, è vivace ma rifiuta il latte, non riesce ad inghiottirlo, il medico ha detto che se non mangia morirà. E' lì su una sedia che gioca, anche con lo stomaco vuoto non piange, non si lamenta e gioca, mentre tutti la guardano, aspettando. Non hanno più lacrime, le hanno già consumate per il fratellino più grande. Sono stanchi e sconfitti, aspettano. E la bambina gioca sulla sedia, e c'è un piatto di pasta ditalini sul tavolo e chissà come lei si sporge e infila una mano in quel piatto e in quel piccolo mignolo di quella tenera manina si infila la pasta, come un anello, e lei se la porta in bocca e la mangia. E il colosso scatta verso l'alto, e guarda la bambina e tutti che non si sono accorti della scena la guardano e vedono che ha apprezzato il gusto della pasta, altro che latte!, e ne vuole ancora, sempre ridendo e giocando, e allora esclama sicuro di sé: "Basta, non muore più!". Se l'ha detto il "Don" c'è da crederci, la bambina si salva.
Una buona notizia, almeno quella. Lettere dal fratello, arrivate clandestinamente, chissà come le ha nascoste, chissà come sono arrivate, ma è ancora vivo. Botte, percosse, freddo, malattie, fame, disprezzo, e lui testardo che ad ogni colpo diventa sempre più comunista, più convinto, più gli spaccano il corpo più forte gli diventa lo spirito, avrebbero dovuto fiaccarlo ma ormai non ha più niente da perdere, il suo odio lo tiene in vita, vuole vivere per fare un dispetto al fascio, al duce e a quel fottuto mondo intero che l'ha chiuso lì dentro. Non è saggio come il fratello, non ha il suo carisma nè la sua autorità, ha solo sé stesso su cui contare e la sua folle, stupida, infantile convinzione che il comunismo è un bene. Non spera più che si possa vincere, non crede che un giorno vedrà davvero il sol dell'avvenire, ma se deve morire vuole morire in piedi come un uomo, come un comunista dice lui, non strisciando come un verme. E giù botte. Proprio non è diplomatico.
Poi un giorno l'incubo finisce, si vota la Repubblica, tornano i partiti, si cercano capi. Finalmente il bisnonno non beve più olio di ricino. Però è invecchiato, stanco, lavora di giorno e di notte, nel suo laboratorio con la giacchetta, si fa bottega, e gli chiedono di mettersi a capo del Partito, dei socialisti. E lui accetta. Sua moglie che vede più lontano di lui capisce che è un errore ma non dice nulla. Il marito ci crede ancora. Nonostante tutto, ci crede ancora. E lei gli da una mano. Giorni sottratti al lavoro, l'attività politica, i comizi, le liste, l'elezione a sindaco quando ancora era una carica onoraria e nessuno ti pagava. Tutto questo sottratto a te stesso e ai tuoi figli. Tutto gettato via in nome di qualcosa che oggi non si riesce più a definire, è come un animale preistorico, non esiste più.
E i due fratelli si riabbracciano e uno è comunista, l’altro socialista, e litigano, e prendono il caffè insieme, e parlano di politica, e chissà come sopravvive il fratello con tutte quelle ferite e senza mezzi di sostentamento, e sta ancora in piedi, stringe i denti, quel comunista figlio di puttana, non lo piegheranno mai.
Una raccolta fondi per il partito, ma tu sei sindaco povero stronzo, non puoi raccogliere i soldi per il partito, altrimenti ti accusano di appropriazione. E infatti lo accusano e va sotto processo. E ancora ripensa a suo padre, se solo lo avesse mandato a scuola. Forse ci pensa anche quando sul palco, davanti ad una fiumana di persone venute ad ascoltarlo, non riesce a trovare le parole in italiano corretto e allora improvvisa, mischia il dialetto alla lingua ufficiale e s'inventa le parole, s'infervora, porta migliaia di voti e continua a vincere le elezioni. Perdendo altre giornate di lavoro. La moglie muore. Si risposa. Non è un uomo capace di stare da solo, non sa come fare, in vita sua ha solo lavorato. Lavorato e tenuto i compagni fuori dai guai. Lavorato e rimasto in piedi mentre il resto del mondo veniva inghiottito dalla follia del fascio. Quando il fascio è finito la gente non sapeva più cosa fare, cosa pensare, come vivere. Alcuni hanno fatto quello che da sempre era la loro vita: rubare, mentire, violare. Altri hanno guardato quelli come lui, che avevano mantenuto la rotta senza smarrire la bussola. Seguendolo sono usciti fuori da quell'inferno di tenebre.
Però. Però quelli del fascio sono ancora lì. Gli alleati li hanno mantenuti ai loro posti per convenienza. Il controllo della regione è troppo importante. E lo odiano come prima. E comandano ancora. In modo diverso, ma comandano ancora. Non ci sono vendette né regolamenti di conto in quelle terre. Sì lotta ancora, in modo diverso, ma ancora con le armi. Per la terra, la dignità, il lavoro, la libertà. Aspramente, duramente. Il popolo minuto vuole combattere, gli sgherri dei potenti iniziano a sparare.
Il “Don” morì a ottanta e rotti anni. Non ebbe mai la pensione, lavorò fino all'ultimo. Mantenne anche la sua nuova famiglia e i figli della nuova moglie, una vedova che aveva già altri figli. Quando morì arrivò una delegazione dalla sede centrale del partito socialista, a Roma. Non ci fu pace neanche quel giorno, scoppiarono tumulti tra chi voleva venisse posta la bandiera del partito socialista sulla sua tomba e i cattolici capeggiati dal genero catto-fascista che si oppose con la forza. Ma che importava a quel punto, era l'uomo che stavano omaggiando, non la bandiera. Sono gli uomini che fanno una bandiera, non una bandiera gli uomini.
Un nobel non gliel'hanno mai dato. La pensione men che meno. Sono rimasti solo i ricordi, tramandati attraverso la memoria, frammenti che servono a ricostruire una storia. Una storia e una via. Una via in un paese gliel'hanno dedicata. Una tomba con una foto. La foto di un gigante.
Non mi piace Luswig Quite, non mi ispira niente.
Giro il mio premio ai seguenti blog, come già scritto trovate il regolamento qui. Ringrazio gli autori per la compagnia che mi tengono le loro storie, i loro desideri, i loro progetti, i loro successi, i loro errori.
In bocca al lupo.
“Soli veniamo al mondo e soli ce ne andiamo.
Ma il tempo che trascorriamo su questa terra vale la pena di dividerlo con gli altri.”
X-men, la morte di Ilyana Rasputin
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