Ci sono due modi per cambiare la nostra vita: uno è cambiare il nostro modo di vivere, la realtà che ci circonda; l'altro è intervenire su quel magico, microscopico, interruttore bioelettrico nascosto nei meandri della nostra mente, che cambia la realtà in un clic.


giovedì 11 luglio 2013

ESTERO


Posto alcuni commenti a un bell'articolo sull'ormai necessità di emigrare che troverete al seguente link:


Vi consiglio di leggerlo. Scusate gli errori, è stato scritto tutto di getto, senza badare troppo alla forma :-)


"Beh, tutto vero.

Però forse è anche vero il contrario. Ricordo anni fa l’esperienza di tanti giovani entusiasti partiti per la Spagna, a fare le stesse cose che facevano in Italia, stesso precariato, stesso salario appena dignitoso, ma pieni di entusiasmo, di voglia di vivere e di speranza. Adesso la Spagna ha uno dei tassi giovanili di disoccupazioni più alti d’Europa, non so se quei giovani siano ancora lì o se abbiano cambiato aria, se hanno ancora tutta quella intrepida fiducia nel futuro e nel paese che li ha accolti… Ma forse tutto il mondo è paese e l’atteggiamento psicologico personale, individuale è molto più importante di quello di una collettività a cui i media ti dicono di appartenere, ma che in realtà è una costruzione mediatica.

Io non sono l’Italia, alla fine sono la mia casa, il mio giardino, i miei gatti, la mia busta paga, il mio precariato, le mie gioie e i miei dolori. Se li globalizzo pensando al resto del paese sto vivendo una vita virtuale. E questo penso sia valido sia a Londra, che Madrid o Milano. Si guarda molto “fuori”. E’ giusto. Serve a sopravvivere. Ma senza il necessario equilibrio diventa fuorviante. Per esperienza so che si può essere un povero sfigato in mezzo alla ricchezza e un fortunato riccone in mezzo alla povertà. Occorre molto discernimento e la capacità di sfuggire ai modelli sociologici. Il modello non guarda chi sei, anzi cerca di appiattirti per contabilizzarti meglio. Io forse non sono mai stato bene come adesso. Non vuol dire che le cose siano messe benissimo, ma che c’è stato un tempo in cui erano ancora peggio."


"mia madre, padre, nonno, nonna, tutta la famiglia insomma siamo stati emigrati e siamo cresciuti da emigrati. 2500 km. All’inizio senza conoscere la lingua, anni ’60. mia madre 18 anni, mia nonna più di 40, mia zia a scuola piccola senza capire niente, sempre a piangere. Sono sopravvissute e hanno prosperato, forse non come avrebbero potuto, tanti sbagli, ma non hanno mai chiesto nulla a nessuno Stato. 3 giorni e due notti in treno per tornare in sicilia per le vacanze

Io ho il mio orticello, emigrato a “soli” 1600 km circa. Mi trovo bene.

Sono molto limitato, non riesco neppure a concepire che una persona non voglia sacrificarsi uscendo dai propri confini, è questa la vita. Detto questo, parlando dell’orticello. Il problema non è l’orticello, il problema è non gravare sugli altri, sullo Stato. Così si finisce sul gravare sugli altri con la pretesa di uscire dall’”orticello”. L’orto è sacrosanto, permette di organizzarsi e vivere. Il problema, oggi, non è tanto “aiutare gli altri”, ma smetterla di pesare sugli altri con tutte le funzioni e i “diritti” sociali che questo comporta.

C’è una visione distorta della realtà economica, e c’è pure una distorsione della spesa e degli investimenti, lunga storia, ho svolto una tesi di laurea di 500 pagine sui sistemi di sicurezza sociale. Diciamo che se ognuno avesse il proprio “orticello” e lo coltivasse con cura non chiedendo aiuti alla collettività ormai esausta, le risorse disponibili basterebbero per tutti. Per chi ha bisogno davvero.

A proposito: mio padre è andato in pensione con un lavoro precario. Ha maturato i contributi grazie al lavoro svolto in gioventù in Francia. La “crisi” dell’occupazione in realtà in Italia c’è sempre stata, solo che adesso ha investito anche il centro-nord italia. E’ come la crisi del ’29 negli USA di cui ci si accorse solo quando la povertà finì di colpire solo i neri. La cui condizione non cambiò. Erano poveri, poveri rimasero, e nessuno se ne preoccupava. In Italia è lo stesso. Il sud è sempre emigrato all’estero, ove estero è anche il nord. Il problema vero si presenta quando non c’è più dove emigrare."


"Non si può aspettare che altri “facciano” (ciò che sarebbe giusto, onesto, proficuo, etc….). Non è così la vita. E’ interessante il commento del lettore in questa pagina, parla della Germania, terra di approdo di tanti emigrati del sud Italia e non solo. Mio zio che ha costruito una vita laggiù mi racconta che c’erano immigrati italiani che sfruttavano il generoso (una volta) welfare tedesco facendosi pagare anche l’affitto e le bollette della luce. Altri, sempre immigrati, che si rivoltavano a questo modo di fare e pensavano ad “arricchire” col loro lavoro il paese che li ospitava invece di sfruttarlo. Chi è intelligente, chi scemo? boh… Fatto sta che una parte produceva, l’altra dilapidava. Ora, non parliamo dei governanti, guardiamo al Paese, quello vero, fatto di gente che ha arricchito sé stessa e gli altri e di chi altresì continua a divorare risorse. Magari legalmente e magari senza sapere che non è cosa buona dato che è cosa diffusa.

Però si parte da lì. Dimostra qualcosa che ho sempre saputo: c’è una parte della popolazione che “attende” dallo Stato. E altri che non attendono, chiudono baracca e burattini e partono. E quando arrivano, probabilmente, dato che oggi partono i migliori e non i peggiori, non sfrutteranno lo stato di approdo ma lo arricchiranno. e se tutti facessero così nel proprio paese saremmo noi la Svizzera o la Londra in cui si recano i giovani. E non esistono politici e potenti più onesti del popolo che governano, e oggi l’asticella media dei valori è posta troppo in basso. Il politico non è il primo a smettere di approfittare, è l’ultimo. L’ultimo di una catena di approfittatori. Altri stati più virtuosi non hanno politici migliori, hanno una popolazione più intollerante, meno accondiscendente ai maneggi e alle ruberie. Probabilmente perché anche più severi con loro stessi rispetto all’italico furbastro."


"Rispetto la tua opinione, che naturalmente sarebbe auspicabile divenisse realtà, ma non credo proprio sia così. Cmq, il costo del lavoro italiano è alto perché ci sono valanghe di pensioni e pochi lavoratori, in generale molto welfare e poco lavoro. e sprechi a non finire. E evasione fiscale e contributiva a non finire. E un nord con le sue regioni tra le più ricche d’Europa e il Sud che ha le regioni tra le più povere d’Europa. E non c’è soluzione a questo perché il Paese può crescere quanto vuole, ma se c’è una voragine a sud che assorbe tutto non riesce cmq ad assicurare un livello di benessere diffuso. O si agisce al sud (ma è chiaramente impossibile ottenere qualcosa) oppure non si riuscirà comunque. La “fame” di soldi dipende da scelte che nel breve periodo “arricchiscono”, nel lungo periodo “impoveriscono”, come né “la cicala e la formica”. Che abbiamo una classe politica inutile e sprecona è risaputo, ma questa è. E non migliorerà. Se a uno non piace fa prima ad andarsene che a cambiare l’Italia: andarsene lo fa in un ora, cambiare l’Italia non riesce. Non siamo d’accordo penso perché sono una persona molto concreta, vedendo la struttura italiana non penso affatto che possa essere cambiata e la vita è una sola, si fa una scelta decisa e si agisce. Inutile aspettarsi aiuti, anche dalla politica, soprattutto dalla politica. non voto da dodici anni infatti, e mai una volta che mi sia pentito, anzi.

Per quanto riguarda il “non specificato aiuto”. Posso specificarlo eccome. Però si dovrebbe credere che lo Stato, i partiti, i politici, sprecano e gettano soldi per ottenere consenso politico e territoriale. Però magari uno non ci crede che questo accade. Magari uno non crede che c’è chi non ha niente e chi è letteralmente coperto di soldi (“gli amici" per dirla in maniera volgare e a volte semplicemente i fortunati). Mi fermo qui. Cmq rispetto chi ancora crede nella politica e nelle istituzioni, nella loro capacità di creare un sistema equo, io non ci credo e agisco di conseguenza, in un certo senso “come se lo stato non esistesse”. La vita è una guerra, non ci sono arbitri che regolano una situazione, c’è solo fortuna troppo spesso, e nient’altro, se non sei fortunato è meglio andarsene. Conosco persone che stanno programmando un trasferimento nel Mozambico, dico, il Mozambico, e che gli dici a questi: aspetta che lo Stato faccia qualcosa? No, gli dici “non aspettarti niente da nessuno e vai”. Se poi qualcosa arriva bene, ma tu vai… Vai e vivrai. Rimani e fai lo schiavo."


"Mia nonna è andata in Francia dopo i 40, con tre bambine, appena arrivata gli è venuta la depressione che non l’ha mai più abbandonata. Mia zia bambina è andata lì e piangeva sempre perché non conosceva la lingua. Poi, nel tempo, è diventata la segretaria dell’Amministratore delegato di una multinazionale italiana in Francia. Certo è meglio andarci da bambini e dipende dal carattere che hai. Alcuni non ne escono, soprattutto donne ho visto: quando lasciano tutto per ricominciare ad una certa età, finiscono col disprezzare quello che hanno lasciato (il Paese che li ha costretti ad andarsene) ma al tempo stesso entrano in depressione cronica.

E tante altre storie che ho vissuto sulla mia pelle.

Bene. col senno di poi posso dire una cosa: meglio andarsene in un posto non tuo ma promettente e curarti la depressione magari assistito da un servizio sanitario efficiente nella nuova nazione piuttosto che andartene e poi tornare indietro. Se vai e torni indietro la depressione rimane comunque e ti ritrovi nello stesso brodo di prima. Tu CREDI che sia cambiato qualcosa e che sia il momento di tornare. In realtà non è cambiato niente e passi dalla padella alla brace. Mai voltarsi indietro, mai. Possono esserci eccezioni, vero, ma riguardano i grandi successi personali, le grandi avventure, etc… Tornare sì ma come turisti e non lasciare mai il paese estero che ti ha garantito prosperità. Lo dico per esperienza personale e familiare: andarsene e divenire parte del luogo in cui vai a vivere, integrarsi e costruire lì qualcosa di nuovo. Poi con gli aerei low cost se uno vuole va a ritrovare la famiglia in meno tempo di quanto impiego io a sbrigare una pratica amministrativa a Milano centro, garantito.

Per non parlare di Skype, vedo le NONNE che comprano il PC per vedere OGNI GIORNO i nipotini, ooohhh! prima ste’ cose non potevi farle neppure se la famiglia di tuo figlio abitava a cinquanta km!!!! Le distanze si sono abbattute, la paura è culturale! Mondo boia, da Milano arrivo prima in Polonia che in Sicilia, occorre uscire dall’immobilismo: come si produce ormai per l’estero occorre “istruire per l’estero” il “made in Italy non deve riguardare solo i prodotti, ma soprattutto le PERSONE, siamo in troppi in Italia per un paese che non crescerà comunque, che è morto ma anche per motivi naturali, siamo 50 milioni, ohhh!!!! Ci sono paesi che hanno potenzialità di crescita che l’Italia non ha più, non aspettiamo di trasferire il mondo in Italia, usciamo noi verso il mondo!!!! E’ più facile spostare una persona VERSO L’ESTERNO che spostare Un’intera ECONOMIA verso l’interno!!!!!

Ho fatto un anno di militare con appena il necessario per sopravvivere a 1780 km da dove abitavo, oggi il militare non c’è più, dovrebbero rimetterlo: tutti i giovani devono uscire dall’Italia per almeno un anno, devono andarsene come obbligo, un anno, non avranno più freddo, fatica e umiliazioni di quelle che si subivano nella naia, in balia di teste di Caxx…. dopo ste’ cose le dimentiche, anzi ci ripensi divertito, allora fuori per un anno, che vada bene o vada male deve divenire un obbligo, poi magari alcuni rientrano e altri trovano quello che gli piace, ma almeno hanno conosciuto qualcosa di diverso, magari migliore, ma sono cose che rimangono per la vita, devono andarsene tutti e tutte, un anno di “servizio estero” come fanno i mormoni (due anni), rientrano più ricchi e se non rientrano è meglio per loro!

“Fuga di cervelli”? Ma stiamo scherzando? Anche se metà dei giovani in gamba va via, quelli che rimangono sono più che sufficienti per rendere l’Italia un paradiso se solo ne avessero la possibilità, devono andarsene perché ci sono TROPPI cervelli, TROPPI laureati, TROPPI impiegati, TROPPE persone che parlano due-tre lingue e non si riesce ad assicurargli un lavoro dignitoso in relazione a ciò che sanno fare. Militare, servizio estero, un anno, anche se non vogliono, neanch’io volevo ed è stata dura, ma è così che si vive! Ai tempi non c’era il cellulare con skype o il wi-fi all’autogrill o nelle librerie che telefoni gratis e vedi pure papa e mamma sul telefono, c’erano cabine telefoniche con le monete mentre fuori era buio e tutte le 4.500 lire al gg che mi davano che andavano via così.

L’Italia è viziata? Se vuole più di questo sicuramente sì. Solo che non se ne accorge. Pensa sia normale. L’Italia si è costruita così. Con le sofferenze prima che con le opportunità. E posso assicurare che allora, inizio anni 90 non era più onesta di oggi, anzi, le caserme erano luoghi di furto, spreco, contrabbando, sopraffazione, e spesso violenza. Ogni tanto si suicidava qualcuno. E il paese cresceva lo stesso. Oggi si sta meglio eppure il paese crepa. Nessuno ti obbliga ad andartene di casa. Si preferisce oggi o gli anni 50-60-70-80? Si preferisce ieri? OK, ci si sacrifichi come ieri allora."

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lunedì 17 giugno 2013

LETTERA A UN AMICO SUGLI AUTORI CHE VOGLIONO CAMBIARE IL MONDO


Ho omesso i nome degli autori in questione, non ha importanza...

"Ciao,

Ti dico secondo me dove sta l’errore che commettono i XXX ma in generale chiunque voglia aprire una “nuova coscienza” nell’umanità, portare a galla tesori sepolti, etc…

OK

Sono sinceramente convinti che il mondo e le persone starebbero meglio se fossero “evolute”, aperte, con una coscienza più ampia, etc… Verissimo. Il mondo starebbe meglio, non ci sarebbero guerre, povertà, sopraffazione, etc….

Il problema è che, ciò che queste persone vogliono creare, in realtà esiste già. Ovvero, se ci si incontra tra persone evolute non si pensa alla guerra, si pensa a costruire qualcosa insieme, ad aiutarsi, a mischiarsi, senza conflitti. Non ha importanza se uno è musulmano, cristiano o ateo, non dico che abbiano tutti ragione riguardo all’interpretazione della vita, ma si vive lo stesso in pace, prosperità, armonia. La parola tolleranza non ha più senso perché non ci sono conflitti.

Quindi, non serve cambiare la testa, le credenze e tutto il resto per ottenere un mondo in pace e giustizia, se si incontrano persone evolute è fatta, accade.

Il problema è che non si può trasformare la maggioranza dell’umanità, che è scimmia, in persone evolute. Anche se sveli verità a destra e a manca, chi è scimmia rimane scimmia e che sia ateo, XXX-iano, XXX-gliano, Cristiano o Musulmano, tra scimmie la guerra è e sarà sempre all’ordine del giorno, ogni giorno. Quindi tutti i discorsi sulla “verità vi farà liberi” ove si intenda un mondo come proposto dagli autori, pace giustizia e libertà, è un emerita fesseria.

“La verità vi farà liberi” ha senso, in termini cristiani, quando ti liberi da queste illusioni e abbracci l’infinito, la trascendenza di una vita bella, nonostante questo mondo faccia schifo. Ma il mondo non lo trasformi e non trasformi le persone da scimmie a evolute anche se gli dici questo o quello. Diverso è il caso di salvargli l’anima e di farle vivere felici nonostante siano scimmie e nonostante facciano guerra, ma è un altro tema. Non c’è in questo la pace sulla terra o la liberazione sociale dalla schiavitù, come la intendono i XXX, la scoperta di questo o di quello.

Riassumendo:

·         se il mondo fosse abitato da soli evoluti quello che hanno in mente è già realizzato;
·         se il mondo è popolato da scimmie non sarà con le loro verità che cambia qualcosa;
·         se il mondo è composto, com’è, da pochi evoluti e molte scimmie, basta una scimmia la quale se non prontamente isolata è in grado di rovinare un campo faticosamente coltivato.

In realtà la maggioranza è scimmia.

Ecco perché ci si è sempre illusi che con la scoperta di nuove verità l’uomo si sarebbe innalzato e invece è più scimmia, prevaricatore, ambizioso, violento, lussurioso, ladro, immorale dentro e stra-morale fuori, di prima.

Ecco perché appena sento questi autori, non ci posso fare nulla, sbadiglio, non c’è alcuna evoluzione tranne il cercare di far incontrare persone evolute sperando che le scimmie non rovinino tutto, e quasi sempre ci riescono.

Saluti."

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venerdì 17 maggio 2013

DUE RIME...


C'è chi tutto ha avuto e tutto ha gettato
e chi poco ha ricevuto ma tutto ha apprezzato
chi era nell'abbondanza, povero è divenuto
e chi nella povertà si è arricchito

Non so com'è stato, nessuno l'ha capito
ma guardando indietro tutto s'è rivelato
nessuno se n'è accorto, nessuno l'ha capito
e oggi rido e dimentico il passato.

E' il cuor contento
che genera l'arricchimento
che porta il divertimento
che vince il tormento
che fa cantare nel vento

Anche quando cadendo
nel mare oscuro in movimento
sembra finito il momento
del riso e del godimento
e rimane solo lo spavento

E' il cuor contento
che lascio gridare
perché d'esser triste
in mezzo al mare
proprio non lo vuole accettare

Del mondo intero si vuole beffare! 
Ride, canta, balla e manda tutti a c...!


"Chi non stima la vita, non la merita"

Leonardo da Vinci 

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domenica 7 aprile 2013

TEMPO, SPAZIO E VIAGGI INFINITI


Ho scritto un (lungo) commento a questo bel post:

http://miostilelibero.com/2013/04/05/energia-del-tempo/

lo riporto qui, scusate gli errori, ho scritto molto di fretta e senza rivedere :-(, ma mi rendo conto che ormai il 90% delle cose è teatro, il 10% sostanza, e ormai sono troppo vecchio per il teatro:

"Il tempo è un veicolo. Contrariamente a ciò che percepiamo non è lineare. Probabilmente è giustapposto. Non è lui che scorre, siamo noi a viaggiare, viaggia la nostra… chiamiamola anima. Solo che non si muove lungo una retta, ma attraverso… immaginiamo migliaia di fogli disegnati, facendoli scorrere rapidamente uno dopo l’altro otteniamo un cartone animato. In realtà ogni foglio è fisso, è la nostra azione del farli scorrere che fa sembrare tutto in movimento. E’ il viaggio che crea il (nostro) tempo, non il tempo che domina il nostro viaggio.

Nella fisica quantistica è un fatto teorico assodato, e anche Einstein presentava il tempo come una curva. La nostra limitata percezione lo indica come una freccia in avanti. In realtà è come se ci muovessimo di lato, decidendo in ogni attimo quale disegno far scorrere, spostandoci per le scale o con l’ascensore per esempio.

In questo senso la stessa morte del corpo fisico non è la fine del viaggio, perché il viaggio continua con le stesse modalità e probabilmente negli stessi luoghi fisici, ma in uno “strato” che i nostri sensi umani non colgono. Un po’ come i suoni presenti uditi dagli animali ma non dagli uomini, presenti in contemporanea. Cambia la forma ma il viaggio dell’anima continua. Spostandosi ancora di lato, facendo scorrere i fogli, decidendo quale foglio proiettare, quale tipo di attimo vivere, in quale modo. Probabilmente il tempo non scorre… noi scorriamo, decidendo dove andare."

"Da un punto di vista teologico, l’inferno è assenza di Dio. Ma per definizione non può esserci un posto in cui Dio è assente, altrimenti non sarebbe Dio. E’ quindi probabile che in quel “posto” incontrato durante il viaggio dell’anima, Dio sia presente ma che i sensi non lo colgano. E quel luogo quindi può essere ovunque. Può essere che nel viaggio di un’anima essa stazioni in un posto (eterno, spiego perché) in cui non riesce a cogliere Dio che pure è lì presente.

Il luogo fisico in cui si trova un’anima in viaggio potrebbe benissimo essere casa sua. O il parco pubblico. O meglio ciò che a noi appare “casa nostra” o il “parco pubblico”, di cui cogliamo solo alcuni aspetti.

(Non siamo in grado infatti di sentire tutti gli odori di quel luogo, percepirne le energie, i campi elettromagnetici, elettrici, biologici e tanto altro che non conosciamo tutti nello stesso punto, di cui noi vediamo solo la parte grossolana).

Probabilmente privi di un corpo grossolano, ciò che percepiamo in questa vita come “inferno” o “paradiso” potrebbe essere enormemente amplificato, come un misuratore di onde sismiche che oscilla alla minima vibrazione invece di sentire solo scosse molto intense come nel caso del corpo umano.

Questo tempo di “inferno” potrebbe essere “eterno” (parlando di tempo) in quanto solo con il corpo fisico riusciamo a “imparare a scoprire Dio”, seppur grossolanamente. Se non l’abbiamo fatto in questa fase del viaggio, nella successiva potremmo non averne semplicemente i mezzi, non aver imparato “come si fa”. Insomma, potremmo non esserne capaci e basta, non vederLo così come in questo stadio che viviamo adesso per quanto ci sforziamo non riusciamo a scorgere gli ultravioletti, che sono tuttavia sempre qui presenti, o le radiazioni, idem.

Lo spazio, il luogo di inferno o paradiso quindi potremmo essere determinati non da un diverso spazio fisico, ma dalla diversa capacità di “noi” di interagire con il medesimo spazio fisico. In soldoni: non veniamo mandati all’inferno, non veniamo mandati proprio da nessuna parte, è solo che siamo terribilmente incapaci di vedere la bellezza e questo ad un livello di percezione molto maggiore di adesso. E’ come se venisse uno che cominciasse a battere il gong proprio vicino al nostro orecchio per l’eternità insomma. Non abbiamo imparato come farlo smettere e ormai è troppo tardi.

Il tempo in tutto questo non è altro che la nostra scelta ovvero “dove decidiamo di andare”, destra o sinistra, sopra o sotto, ma incontriamo tutta una serie di spazi fissi, di “porte” infinite che attraversiamo e questo lo chiamiamo “tempo”. Esse non scorrono, il tempo non scorre, siamo noi a decidere verso dove scorrere. E’ una questione di prospettiva, naturalmente, il passeggero di una nave vede un paesaggio che muta davanti a sé ma dato il movimento relativamente lento un bambino passeggero che si fida più del suo istinto che della logica inculcata, penserà che il mondo si sposta. Un adulto penserà che si muove la nave. Ma dovrà fidarsi del ragionamento perché sulla nave sembra proprio che il mondo si sposti.

Per il tempo è uguale. Un passeggero penserà di stare fermo (“anima” in viaggio) e che il tempo scorra. E un altro potrà pensare che in realtà il mondo è fermo (strati di tempo) e che è la nave in viaggio che si sposta (anima).

Sono solo esempi per spiegarmi meglio.

Ma se ammettiamo che è l’anima ad essere in viaggio e che in realtà la moltitudine infinita di dimensioni che attraversiamo (tempi) è statica, allora comprendiamo anche il meccanismo di ciò che chiamiamo “destino”. E perfino di “destino eterno”. E riusciamo a conciliare il concetto, non so di “libero arbitrio” con quello di “predestinazione”.

Entrambi sono guidati da un fattore tempo come si intende a livello grossolano e sembrano pertanto inconciliabili: “un giorno (tempo) accadrà questo sicuramente oppure posso impedire che accada? Un giorno sarò lì anche se non voglio esserci? Allora come la mettiamo?”

In realtà si conciliano molto semplicemente se assumiamo che, viaggiando l’anima attraverso una serie di dimensioni sostanzialmente statiche, esiste già quel luogo, quella situazione, quel risultato, quella “salvezza”, che speriamo di raggiungere un giorno, esiste con un n° per cento di probabilità, ma esiste già. Solo che noi dobbiamo indirizzare il nostro viaggio attraversando quelle dimensioni statiche opportune per raggiungere ciò che già è preparato (con n. per cento di probabilità di incontrare quella dimensione). Naturalmente se ciò esiste già (predestinazione) ma scegliamo di attraversare “porte” diverse, allora è probabile che noi non incontreremo quella situazione, anche se essa esiste già (con n. per cento di probabilità, che crescono a mano a mano che si attraversano gli strati opportuni). Potrebbe anche non succedere.

Mi fermo qui, era solo per dire che noi abbiamo una visione dello spazio e del tempo del passeggero della nave, che vede il mondo cambiare davanti ai suoi occhi e non è molto consapevole del proprio movimento. Il passeggero del treno invece, sente il movimento sotto di sé e avrà la percezione opposta: comprende che è lui a muoversi, non il mondo (spazio e tempo) attorno a sé. Per lui il mondo, spazio e tempo, è statico.

Se si diventa consapevoli del proprio viaggio la percezione del tempo e dello spazio cambia radicalmente."

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mercoledì 3 aprile 2013

martedì 2 aprile 2013

Grandi...


I manager vogliono dirigere aziende grandi, non aziende profittevoli.

I politici vogliono essere a capo di grandi nazioni, non di nazioni profittevoli.

Le persone vogliono fare molte cose grandi, non cose profittevoli.

Girano tutti in tondo senza fermarsi mai e senza profitto.

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domenica 24 febbraio 2013

UOMINI E DONNE


Alcuni giorni fa sono incappato durante un pranzo in un delle eterne discussioni sugli uomini e sulle donne, com'erano, come sono, dove mancano, dove si sono evoluti/involuti. Mi hanno consigliato alcuni libri, alcuni blog, alcuni siti, alcune trasmissioni, ho compreso ancora una volta che l'argomento è fonte di inesauribile interesse, e quindi anche di bussiness inesauribile, sono certo che fra mille anni, se l'umanità c'è ancora, sarà fonte anche allora di interesse, di dispute e di soldi. 

Finché ci saranno uomini e donne, si continuerà ad interessarsi agli uomini e alle donne, com'erano, come sono, come dovrebbero essere.

Non ero interessato al discorso in sé sugli uomini e donne, ma ero affascinato dall'interesse che i presenti avevano per quel discorso, erano affascinati e ognuno, anche il meno loquace aveva un'esperienza, un'opinione, un'idea da esprimere. C'è chi non ha mai smesso di parlare, chi è intervenuto soltanto qualche volta, io che non capivo bene e ponevo comunque qualche domanda.

Non ho la TV, non bazzico internet, ascolto la radio solo in podcast scegliendo le trasmissioni, quindi la mia visione sociologica/mediatica non è molto ampia, però lavoro con altre duecento persone circa, uomini e donne, ma è un punto di riferimento parziale. Poi c'è la piscina, ma lì non hai il tempo di discutere dell'evoluzione della società, si preferisce star bene nuotando.

Così mi meravigliavo dalla quantità di spunti, dalle diversità, mi chiedevo fino a che punto quelle persone stessero parlando della loro vita e quanto di vite di altri, di sondaggi letti sulle riviste, di vite di imperatori e gente importante, di vite di miserabili e disperati, ovvero quanto stessero attingendo dalla loro vita e quanto alla comunicazione altrui.

Poi non ho approfondito perché mi sembrava l'equivalente delle discussioni politiche in cui tutti hanno sempre ragione e sanno sempre tutto e se non sanno è come se sapessero perché ciò che credi è l'unica cosa che conta; oppure delle discussioni sul calcio, sul cosa si sarebbe fatto per vincere quella partita, in cui tutto ciò che dici è giusto perché si parla di ipotesi, di cose che tanto non si sono avverate, e quindi come fai a sapere se una persona dice giusto o sbagliato, tanto quello che propone non è avvenuto quindi...

Di solito odio parlare di entrambe le cose perché la gente si arrabbia, e poi neppure più ti saluta, in nome di una cosa volgare come la politica. Mi correggo, la politica è alta, l'ideale. Le persone e gli interessi sono volgari. Ho dato ad un giornalista del buffone, non ho saputo trattenermi. Un suo seguace, un manager non mi ha più rivolto la parola. In questi giorni si è scoperto che la persona si è inventata nel suo curriculum ben due lauree ed un master, oltre a svariate altre cose. Ed è pure candidato Premier. Allora non è un buffone qualsiasi - ho pensato - se si inventa cose simili può davvero farlo il Premier Italiano. Più le spara grosse e false meglio è, il teatro viene meglio. E può fare pure il giornalista, nel nostro paese, se è stato in grado di inventarsi tre titoli di studio chissà che magnifici articoli s'inventerà per il popolo affamato di promesse e di comoda irrealtà, di divertente teatro. Tutto regolare allora, è un buffone ma è adatto alla situazione.

Però il manager non m'ha più salutato. Non importa se ciò che gli avevo detto si è rivelato esatto. Alla fine per me dire una cosa vera e giusta si è rivelata una perdita di tempo e un conflitto inutile. Pessimo affare. E quindi non intervengo. Nelle questioni su uomini e donne è lo stesso. Era un tavolo molto grande, circa venti persone, ma mi sono limitato a porre domande. Se per una cosa banale come decidere come sono e cosa sono oggi uomini e donne si finisce col non salutarsi più non ne vale la pena.

Però loro erano davvero infervorati, e si accusavano, e parlavano, ed io ero stufo e volevo andarmene. Alla fine ho inventato un impegno e li ho lasciati col loro eterno discorso, la loro insoddisfazione derivante dal fatto che il mondo non è come vorremmo che fosse, che gli altri non sono come li vorremmo, che gli altri non ci danno ciò che vorremmmo, e che gli altri non prendono da noi ciò che vorremmo.

Sono un lettore di testi millenari, i primi poemi dell'umanità giunti fino a noi, le grandi opere religiose, le prime opere scritte da mano femminile. I temi eterni che proponevano allora, alla fine, sono simili nella sostanza e spesso anche nella forma al contenuto della discussione in quel pranzo. Erano tutti convinti che ci fosse un'evoluzione, una modernità... Non l'ho vista. Ciò che ho visto invece è una "naturalità" nel conflitto tra uomo e donna.

Anni fa mi spiegarono che nella lingua ebraica, pochi termini molti significati e molti giochi di parole, il momento in cui Dio presenta Eva ad Adamo viene narrato con queste parole nei sacri testi, traduco per comodità: "Egli la pose di fronte a lui". Pose Eva di fronte ad Adamo. Il quale la riconobbe subito, comprese che quell'essere nuovo e sconosciuto non era un animale come tutti gli altri, e anche se era "diversa" da lui egli comprese che era "simile" a lui. Egli comprese che lei era "carne della mia carne, ossa delle mie ossa". Un colpo di fulmine insomma! Fu talmente preso da lei che riconobbe la sua natura senza che nessuno gli avesse spiegato com'era stata creata. La riconobbe e basta, lei era "cosa sua", era sua nel senso di medesima carne, di stessa cosa, di unica cosa.

Però... però "Egli la pose di fronte a lui" vuol dire anche un'altra cosa nella lingua in cui la parola è stata proferita. Vuol dire: "Egli la pose CONTRO di lui". Di fronte al lui e contro di lui. Era già nella creazione.

E' per questo che non si smetterà mai di interrogarsi, mai di cercare, mai di guadagnare o di perdere, di comunicare o di non parlarsi più, di fare soldi o di dissiparli,  cercando una verità altra che non esiste in quanto:


Ciò che è misterioso prima o poi viene compreso. 

Ciò che è ovvio no.

Edward R. Murrow


Ma se per caso quella verità ti è stata rivelata, l'apparente mistero risolto, beh, puoi lasciare quel pranzo e dire: "prossimo punto". Il prossimo punto, la parola magica che ti permette di seguire senza sforzo il flusso armonioso della vita, è andare a fare ciò che ti piace fare, senza perderti nel mistero di ciò che dalla Creazione è stato voluto.

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LA FELICITA'

Andate qui:

http://miostilelibero.com/2013/02/22/la-felicita/

e leggete tutto.

Bellissimo.

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domenica 3 febbraio 2013

OTTIMISMO...


Litigo sempre con chi si dice ottimista e da a me del pessimista, non ci posso fare niente. Li tengo lontani come se fossero un virus malefico.


E in effetti virus lo sono, spiego perché.


Premetto che di ottimisti ce ne sono fin troppi. Ne abbiamo alcuni al potere da una vita, sotto tutti i colori e non se ne vogliono andare. Ricordo le previsioni dei pessimisti, pessimisti non catastrofisti, che è cosa diversa. Bene, la situazione mondiale è peggiore di quella che i pessimisti avevano delineato anni fa, eppure non si parla più di loro, di quanto avessero visto giusto. Come mai? Forse perché un pessimista non interessa più nessuno quando il disastro che aveva annunciato si è realizzato? Non lo so. So che gli ottimisti sono ancora lì a sparare fesserie e incoraggiamenti, i pessimisti che invece colsero la verità di un sistema economico, politico, sociale, religioso in disfacimento sono caduti nell'oblio.

Mi ricorda il detto dei Borboni "per il popolo festa, farina e forca": divertimento, pane e ordine. Oppure il "panem et circenses" romano. Ma entrambe queste forme di manipolazione presuppongono che venga instillata una pesante dose di ottimismo, altrimenti non funzionano. Uno che vede nero e vede la realtà presente e non quella ipotetica futura, non festeggia e non va al circo. Per questo gli "ottimisti" li vedo come virus, oggi, portano tanti di quei batteri con loro da stendere un elefante in ottima salute.

C'era un tipo che vinse una guerra mondiale, un inglese, nel suo discorso di insediamento, sotto le bombe, disse "Vi prometto solo sudore, lacrime, sangue". Uno così gli ottimisti lo fucilano scandalizzati... sfido io, gli ottimisti non vincerebbero mai una guerra.

E poi oggi sono tanti, a me sembrano malati di testa, spingono a vedero rosa e guai se non ti accodi. 


Gli ottimisti creano un problema nella loro testa e poi cercano di risolverlo col loro ottimismo. 


E' come una droga, prima ti fai venire la depressione così hai la cura già pronta. 

In realtà non si ha bisogno dell'ottimismo se non si cade nella trappola precedente della paura. L'ottimismo serve solo quando hai paura. Se uno è sereno non è né ottimista né pessimista. Ne ho già parlato:

http://exodusclic.blogspot.it/2011/09/che-fortuna.html


Oggi mi sono alzato con questo pensiero:


Non m'importa nulla se penso in maniera ottimista o pessimista, quello che conta è che io compia le azioni, che le compia e basta.


Alle azioni non frega un fico secco se chi le ha compiute sia ottimista o pessimista, i frutti ci saranno comunque. Le azioni necessarie, le azioni migliori. Posso compiere le azioni migliori per me, chiamiamole ottimistiche, anche se mi sono alzato pessimista da morire e con la voglia di mitragliare qualcuno. 

Per compiere le azioni migliori, più produttive, più "felici" non ho tanto bisogno di un cervello zuppo di ottimistiche e beote endorfine, ma di volontà, spesso di spirito di sacrificio, di accettare dei rischi (molto) calcolati, di provare a spingermi un po' oltre il buio della giornata. 


E questo dipende molto più dalla fede che dall'ottimismo. 


Si può andare avanti anche col corpo che recalcitra, oppure affondare tutto contento in preda all'ottimismo, vi assicuro. In fondo, è ciò che sta succedendo all'Italia intera. Sta annegando nel proprio precedente ottimismo. 

Se trovate un uomo sereno accodatevi a lui. Se incontrate un ottimista scappate: coi tempi che corrono è l'unico modo per evitare un accusa di lesioni, basta un attimo di distrazione e vi trovate che gli avete già sfasciato la testa.

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venerdì 1 febbraio 2013

NON UNA PAROLA


San domenico andò a far visita a San Francesco, si salutarono abbracciandosi calorosamente ma per tutto il tempo non si scambiarono una parola. Così, al momento di riprendere ognuno la propria strada, si erano raccontati tutta la loro vita.

Ecco, credo che questo sia il tipo di rapporto che mi piace avere con le rare rare persone a cui tengo davvero, le parole mi distraggono.

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sabato 19 gennaio 2013

EDITORIA KAPUTT


Prima di continuare leggete assolutamente l'articolo originale da cui nasce questo post, qui:

http://viaggioleggero.com/2013/01/17/perdere-il-lavoro-4-la-paura/#comment-681

C'è una bella testimonianza e poi un'interessantissima e sintetica analisi del mondo dell'editoria oggi. Quello che posto è solo l'ultimo dei miei commenti.


"Bellissimo articolo, dovresti farci un post ad hoc. E dovrebbero leggerlo anche gli studenti, soprattutto.

L'ho letto e riletto più volte, a me più che le successive deflagrazioni che fanno crollare, esplodere, collassare un'impalcatura economica interessa comprendere quale sia la scintilla, la miccia, la goccia che fa traboccare il vaso.

Vediamo se ho capito bene, e poi lo metto a confronto con gli studi che ho fatto:

l'italiano scrive molto e legge poco è un dato storico. Prima non c'era Internet e la gente comprava un giornale, un quotidiano, una rivista. All'interno delle redazioni c'era gente con un contratto di lavoro valido, magari dopo anni di gavetta. Data questa struttura, ci si poteva permettere una certa professionalità del personale e una buona qualità dello scritto in termini di contenuti.

Il mercato era "libero". Quindi i "piccoli/medi" editori potevano competere. Non era il lettore ma la pubblicità che permetteva un profitto. I grossi gruppi sono sempre stati sovvenzionati dai soldi pubblici, anche oggi.

Cmq negli Stati Uniti credo che la situazione delle vendite sia uguale: le vendite permettono la copertura dei costi, la pubblicità garantisce un profitto. I grossi gruppi poi ricevono di quegli aiuti da far impallidire i mercanti di armi. D'altronde nessun candidato al mondo di nessun partito politico riesce ad essere eletto senza l'adeguato sostegno di una parte almeno di stampa favorevole e che chiederà di essere ricompensata per i servizi resi. Forse è così in tutto il mondo.

Però ad un certo punto, mi viene da ridere, alcune leggi "ad personam" (ma tanto non si scandalizza più nessuno) favoriscono i Grandi Gruppi consentendo guadagni ancor più favolosi e uccidono letteralmente quel po' di libertà che il mercato era riuscito a ritagliarsi. Solo chi sfrutta di più le sue risorse umane vivacchia, chi garantiva qualcosa in più muore o abbandona il campo.

Finora è corretto? Perché messa così sembra più un danno generato da un azione "politico-industriale" che realmente di mercato. Un danno insomma che proviene dall'alto. Poi c'è un eccesso di offerta (di giovani che vogliono fare giornalismo) che, nella situazione che si è venuta a creare, permette un ulteriore abbassamento dei "costi" ovvero delle garanzie sindacali, contrattuali, salariali. Anche perché, nel frattempo, da un lato sono nate nuove forme contrattuali ancor più penalizzanti e dall'altro gli stessi tribunali del lavoro non riescono a garantire gli stessi diritti che un tempo venivano riconosciuti (questo sta succedendo in moltissimi settori).

I nuovi media impiegano sì risorse ma non garantiscono gli stessi contratti presenti nel "vecchio" giornalismo, e non richiedono la stessa professionalità... e giù, e giù, e giù...

Il fatto che analizzata così la crisi del settore editoriale mi sembra legata al generale degrado dei diritti e delle condizioni dei lavoratori post crollo dell'ex URSS (non c'è alternativa al capitalismo quindi il capitalismo fa quello che vuole). Ovvero la miccia non è che l'italiano legge meno, al massimo legge peggio, su video invece che su carta. poi, una volta doveva comprare una rivista e magari leggerne solo il 15-20% (già il 50% era pubblicità), oggi quel 20% lo scorre semplicemente su internet.

Da un lato risparmia, dall'altra c'era una rivista lì sul suo tavolo e se era di qualità magari la sfogliava distrattamente e ogni giorno imparava qualcosa di nuovo e importante. Oggi va su internet, si legge il suo 20% che gl'interessa e poi si lascia trasportare dalle onde di internet che ripropongono per la maggior parte il peggio della spazzatura TV: pubblicità palese o occulta, gossip, foto succinte, e articoli senza fonti e senza fondamenti. Il copia/incolla poi è semplicissimo, basta citare la fonte e un unico articolo viene replicato milioni di volte, cosa impossibile con la carta.

Da una lato quindi la politica delle multinazionali che soffoca il mercato "libero", gli interessi, la distruzione dei lavoratori del settore che ormai sono "costi" e non risorse, e l'offerta di un'editoria da discount che è perfetta per l'uomo moderno con poco tempo e tanta e forse morbosa curiosità.

Ricordo che a dieci anni leggevo un famoso periodico pieno di ricche informazioni perché ce lo portavano gratis, i circoli ricreativi erano abbonati e poi invece di buttarli finivano in varie case di soci che potevano rileggerli con tranquillità o regalarli ai vicini. Credo che siano state le migliori letture, e tra le più formative, della mia vita.

Vista così la crisi appare irreversibile, legata com'è a delle specifiche leggi, a uno specifico modello di sfruttamento del lavoro su scala legislativa, ad uno specifica "libertà" da parte dell'utente di scegliersi le letture gratis (poco impegnative, rapide, inutili).

Si parla tanto di "mercato" e proprio chi più ne parla e il maggior interessato al suo annientamento, alla sua riduzione a propagine della propria attività industriale, senz'anima, senza profondità, simile più ad un allevamento di polli che ad un'arena di galli. Vabbe'... e se ho commesso errori correggimi, vado a buttare le speranze di una ripresa del mondo editoriale.

Ciao."

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giovedì 17 gennaio 2013

FUMETTI


Ero bambino e leggevo fumetti, ragazzo e leggevo fumetti, entravo nell'età adulta e leggevo fumetti. Ero molto felice. Però ero riprovato. La mia famiglia non approvava, diceva che perdevo troppo tempo. Mio zio mi disprezzava e lo dimostrava in quelle belle riunioni di famiglia in cui gli arroganti adulti possono essere sprezzanti e i ragazzi se reagiscono sono dei maleducati.

Ero felice quando leggevo fumetti. Mi sono laureato mentre lavoravo e... leggevo fumetti. Ho speso tantissimo in fumetti per quelle che erano le mie scarse possibilità. Se non avessi letto fumetti non avrei retto allo stress di solitudine, precarietà, studio e lavoro tutto insieme allo stesso tempo.

Però un uomo maturo non legge fumetti, è roba da bambini. Una persona responsabile legge il giornale. Come mio zio, che conosceva il sistema proporzionale e poi il maggioritario col "tatarellum" che permetteva il rientro dalla finestra con la quota proporzionale di chi ero stato scalzato col sistema maggioritario. L'ultima legge elettorale, il "porcellum" probabilmente non ha segreti per lui. Poi un uomo maturo lavora. Non solo negli orari di lavoro, ovvio, la persona responsabile lavora SEMPRE. Io leggevo fumetti e spesso riposavo perché ero stanco, e questo non piaceva. Occorreva lavorare sempre per costruirsi un futuro.

Credo abbia ragione mio zio. Ha due figli. Senza l'appoggio della famiglia entrambi non sopravviverebbero, io me la sono sempre cavata da solo. Ma si sa, le giovani generazioni sono deboli, pigre, non sanno affrontare le cose, se non fosse per gli anziani come loro farebbero la fame.

Naturalmente mio zio non sa niente del carico contributivo che grava su ogni reddito dipendente, che paga la sua pensione, mentre lui non ha avuto lo stesso carico, dato che gli anziani in buona salute e percettori di pensioni per lunghi anni un tempo erano molti di meno. Ma non ha importanza, in fondo mio zio lo sa di essere un ignorante, forse per quello legge sempre il giornale. Lui non ha studiato, ha lavorato e basta. C'è un abisso tra lui e le nuove generazioni che è inutile cercare di colmare, di dialogare, è semplicemente impossibile e non è neppure richiesto che avvenga.

Ma io ero davvero felice nel leggere fumetti, e in quegli anni il disprezzo, che è un male che si propaga, come la calunnia, il pettegolezzo, il giudizio, la riprovazione, ha creato un solco imcolmabile tra me e il resto della mia famiglia. Non che interessi a mio zio, lui in fondo è felice di non avermi tra i piedi. Forse un po' sarà dispiaciuto agli altri, quelli come mia madre che non vedo da dodici anni. forse un po' le dispiace che io non sia mai tornato indietro a trovarli, ma avremmo tutti solo da perderci a trovarci insieme senza sapere cosa dirci e ognuno a guardare l'orologio sperando che il supplizio finisca presto.

Quando muovi guerra a qualcuno devi essere disposto ad accettarne le conseguenze. Credo sia così anche nella vita e negli affetti. Non ho mai criticato gli attacchi, il disprezzo, l'incomprensione, credo che gli esseri umani per la maggior parte siano bestie ottuse e non mi aspetto da loro un bene effettivo, credo che debbano disperatamente aggrapparsi a qualcosa di più grande di loro per compiere del bene davvero nella loro vita. Qualcosa di più grande di loro se ci credono e se lo trovano.

Quello che invece ho sempre detestato è chi rifiuta le conseguenze. Chi non le accetta. La mia famiglia non mi ha difeso, io volevo solo stare tranquillo a leggere fumetti, per il resto non ero una persona diversa dagli altri, solo un po' meno brillante e un po' più introversa in certe cose. Solo un po' diversa. Giorno dopo giorno la freddezza ha sostituito quello che forse sarebbe potuto essere, sono andato via senza guardarmi indietro. Oggi mi guardo indietro e ringrazio Dio per dove sono adesso. A leggere fumetti. Il resto non mi interessa. Quando qualcosa muore non puoi risuscitarla.

Alla fine, l'importante, almeno per me, non era e non è la politica, l'economia, la brillantezza o il successo sociale, il reddito elevato, l'apparente compattezza familiare, il ragionare tutti allo stesso modo e con le stesse idee. Per me era leggere fumetti. Questo mi rendeva felice e capace di ridere affrontando ogni singolo giorno. 

Alla fine, forse, la mia famiglia potrebbe aver avuto tutte le ragioni del mondo, anche se il destino non sembra averla particolarmente favorita, anzi, dolore e sofferenza hanno abbondato in chi credeva di detenere la conoscenza che l'avrebbe salvata. Forse avevano ragione dal punto di vista loro, il sacrificio per il gruppo e le sue regole è sempre stato un assioma indiscutibile.

A me rimangono i fumetti e due gatti amorevoli e meravigliosi. Basta così, si tengano il pure il resto. Sono felice così. :-)

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sabato 12 gennaio 2013

ABITUDINI


Ci siamo abituati a credere a tutto quello che pensiamo. 

È un errore. 

Spesso ciò che pensiamo non è reale.


Wilfried Reiter

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giovedì 10 gennaio 2013

PRIMA VENNERO...


Prima vennero a prendere gli zingari, e fui contento perchè rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato perché erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti, e non dissi nulla perchè non ero comunista.

Poi vennero a prendere i sindacalisti, ma io non ero iscritto al sindacato.


Un giorno vennero a prendere me, e non c'era più nessuno per protestare.


Martin Niemöller

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