Per comprendere appieno la bellezza di uno stato privo di contrasti, creativo, occorre esaminare la sua antitesi, lo sforzo.
J krishnamurti
Sforzo è lotta per l’autorealizzazione, diventare (ottenere). Sono questo e voglio essere quello. Nel diventare “quello” (che non è) è già implicito il contrasto, conflitto psicologico.
In questa lotta la nostra preoccupazione è l’autorealizzazione attraverso il conseguimento di un fine. La cerchiamo in un obiettivo, oggetto, persona, idea. E ciò richiede lotta costante, sforzo mentale, logorio nervoso. Lo sforzo appare inevitabile.
Lo è davvero? E’ inevitabile lottare per diventare (ottenere)? Da cosa trae origine tale lotta?
Dovunque ci sia desiderio di autorealizzazione, a qualunque livello, in qualunque misura, ci sarà lotta.
L’autorealizzazione è il motivo della spinta alla base dello sforzo. Si tratti del manager, della casalinga, impiegato, povero, ricco, in tutti c'è la stessa battaglia per diventare (ottenere), realizzare, andare avanti.
Dove nasce il desiderio di autorealizzarsi?
Il desiderio di autorealizzarsi, diventare qualcuno-qualcosa, sorge quando si è consapevoli di essere nulla. Sono nulla, vuoto, incapace, inadeguato, povero, solo... Lotto per diventare qualcosa. Esternamente e internamente, lotto per diventare, realizzarmi in una persona, cosa, idea. L’intera nostra esistenza è lotta per colmare quel vuoto, lotta per accumulare beni, persone o coltivare ricchezze interiori.
Lo sforzo è tentativo di fuga da quel vuoto. Si esprime tramite un’azione, l’acquisizione di successo, potere, affetti... Oppure tramite la contemplazione, l’attività introspettiva, il sogno, la fuga dalla realtà, da quel vuoto terrificante dentro.
È questa la lotta quotidianità: consapevole della mia inadeguatezza, povertà interna, lotto per sfuggirla, colmarla. Ma la fuga, l'eviramento, il tentativo di nascondere il vuoto, agli altri e a sé stessi, comportano ancora, sempre, lotta, conflitto, sfinimento.
Ma cosa succede se si decide di non sfuggire più quel vuoto?
Che succede se non si compie alcuno sforzo per fuggire? Se si decide di provare a vivere con quella solitudine (vuoto). E nell'accettare quel vuoto si scopre l’emergere di uno stato creativo nuovo e sorprendente, che nulla ha che fare con lo sforzo. Si comprende di essere vivi e non morti. Anzi, più vivi di prima, quando si provava il terrore di quello stato di nulla?
Che succede allora?
Al prossimo post
In considerazione della stupidità della maggioranza dell’umanità, è più probabile che la convinzione diffusa sia sciocca piuttosto che sensata.
Bertrand Russel
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